Messaggi e vocali che girano da giorni su WhatsApp parlano di possibili nuove sparatorie e di “spedizioni punitive” a Palermo, dopo la strage di Monreale, trasformando in un incubo il fine settimana, soprattutto dei genitori dei ragazzi che ricevono i messaggi inoltrati da telefonino a telefonino.
Due episodi recenti testimoniano il clima teso che si respira: mercoledì 30 aprile, durante la fiaccolata a Monreale in memoria delle vittime della strage, si è diffusa tra la folla la voce di un’altra sparatoria in corso, gettando nel panico i partecipanti. Giorni dopo, un altro messaggio metteva in guardia dal transitare nella zona di via Cavour a Palermo, poi effettivamente presidiata dalle forze dell’ordine.
La diffusione di questi messaggi vocali e testi allarmistici tramite WhatsApp sta alimentando un clima di ansia collettiva a Palermo che si propaga più rapidamente dei fatti reali. In una città già segnata da fragilità sociali e tensioni latenti, le chat si trasformano in canali paralleli di informazione, spesso incontrollata, dove l’emotività prevale sull’attendibilità.
E’ carica di tensione la voce della donna che avverte i suoi cari di non raggiungere via Cavour. L’episodio risale a sabato scorso: “Vedi che se ci sta andando qualcuno che conosci digli che non ci vanno – si sente nel vocale- succederà un bordello al centro. Stanno spargendo la voce che quelli dello Zen sono diretti verso il centro storico insieme ai ragazzi di Monreale per fare vendetta – poi aggiunge – Si stanno prendendo a colpi di pistola, non fare scendere nessuno”.
I messaggi passano da cellulari in cellulare e allarmano anche alcuni sacerdoti che hanno fatto una segnalazione alle forze dell’ordine.
La paura, amplificata dalla velocità della condivisione, penetra nelle famiglie, scuote i quartieri palermitani e genera reazioni a catena: genitori che vietano ai figli di uscire, giovani intimoriti, comunità in allarme. Si crea così una realtà percepita che può diventare più potente — e paralizzante — di quella concreta.