Continua la battaglia tra accusa e difesa nel processo al presunto trafficante di esseri umani, imputato davanti alla quarta sezione del Tribunale di Palermo. La schermaglia tra i pm, Gery Ferrara e Claudio Camilleri e l’avvocato Michele Calantropo, non è sulle imputazioni dell’accusato, ma sulla sua identità. La difesa del cittadino eritreo accusato di essere uno dei capi delle organizzazioni internazionali di traffico dei migranti, ha depositato questa mattina dei documenti della Procura di Roma che indaga su Mered Medhanye Yedego. Per la difesa quello arrestato è un profugo di 29 anni che risponde al nome di Medhanie Tesfamariam Berhe e l’indagine romana lo dimostrerebbe.
Nell’inchiesta infatti un altro straniero, indagato di reato connesso, nel 2015 decise di collaborare con gli inquirenti parlando prima con la Capitaneria di porto e poi con i pm. L’indagato, che dice di avere conosciuto di persona il vero Mered Medhanye Yedego, lo ha riconosciuto con certezza in foto. La foto è quella contenuta nel profilo Fecebook di Medhanye in cui è ritratto con un crocifisso. L’indagato ha riferito che in Libia è uno dei pochi che possono portare il crocifisso e che si fa chiamare “generale”. Per la procura romana non ci sono dubbi che quello nella foto sarebbe il trafficante di esseri umani, anche grazie ai riscontri delle intercettazioni.
Calantropo ha ribadito la differenza tra l’uomo nella foto e quello arrestato chiedendo l’acquisizione dei documenti, a cui si è opposta la Procura. Il collegio deciderà il 10 gennaio. I giudici si sono riservati anche sul resto del materiale depositato dall’avvocato: il giornalino della scuola con la foto del diploma preso nel 2010, il contratto del lavoro svolto dal 2013 al 2014, lo stato di famiglia e pure un certificato medico rilasciato dopo un infortunio. Sono i documenti che per la difesa dell’eritreo estradato a giugno in Italia dal Sudan e sotto processo per tratta di essere umani dimostrerebbero l’errore di identità.