Nella strage di Capaci sarebbe stata coinvolta anche una “donna appartenente ai servizi segreti libici”. È questo il nuovo dettaglio che si apprende dai verbali finiti agli atti del processo Capaci-bis. A raccontare il nuovo retroscena è il pentito Pietro Riggio, 54 anni, ex agente delle Polizia Penitenziaria e reggente della famiglia mafiosa di Caltanissetta, e collaboratore di giustizia dal 2009.
Oltre al racconto riportato ieri («un ex poliziotto che chiamavano il “turco” mise l’esplosivo sotto l’autostrada»), oggi emergono nuovi passaggi dell’interrogatorio, riportati dall’agenzia Adnkronos.
Secondo quanto avrebbe appreso il pentito di mafia, “Brusca ancora è convinto di avere schiacciato lui il telecomando”.
L’ipotesi del cosiddetto “doppio cantiere” per la realizzazione della strage, e dunque un secondo telecomando, potrebbe essere tornata dunque al centro delle indagini.
Brusca ha più volte raccontato di aver esitato prima di premere il pulsante. L’auto di Falcone infatti rallentò poco prima della curva per Capaci per la nota vicenda del mazzo di chiavi restituito all’autista Giuseppe Costanza (seduto dietro).
La Croma andava comunque a forte velocità: sull’ordine di 158 Km/h, come risulta dalla lancetta del contachilometri della prima macchina di scorta. Nonostante l’esitazione di Brusca, la forte velocità dell’auto e l’improvviso rallentamento per la restituzione delle chiavi, l’attentato riuscì lo stesso. L’auto di Falcone fu investita dall’onda d’urto. L’unico superstite fu proprio Costanza.
Come ha precisato il pm Nino Di Matteo «Ci sono ancora indagini in corso per capire se insieme a uomini della mafia ci fossero soggetti che avrebbero potuto aiutare a realizzare quell’attentato tecnicamente così difficile. È un attentato davvero clamoroso e difficile da preparare. Nella visione di chi l’ha fatto è riuscito benissimo. Sono morti coloro i quali dovevano morire, ma non vennero provocate conseguenze nei confronti degli altri che passavano per la strada. Un’operazione criminale perfettamente riuscita».
La rivelazione del presunto coinvolgimento di una donna dei servizi libici nell’attentato, potrebbe forse collegarsi ad un altro mistero: il rinvenimento a soli 63 metri dal cratere di Capaci di due guanti in lattice (reperti “4A” e “4B“). Sul “Reperto 4A” tracce di DNA maschile che ad oggi non hanno un riscontro. Non apparterrebbe a nessuno dei mafiosi condannati per la strage. Dai guanti però è stata isolata anche una traccia di DNA femminile, rimasto senza nome.
Nelle nuove rivelazione del pentito Riggio, parlando di un ex poliziotto, di cui cita anche il nome – secretato – racconta che sarebbe stato proprio l’ex poliziotto a dirgli che “per le operazioni particolari si avvaleva spesso di una donna che faceva parte dei servizi libici, anche lei coinvolta nella strage di Capaci”.
Pare che l’ex poliziotto “frequentasse la Sicilia dagli anni ’90” ma “non mi ha mai detto espressamente che era presente alla strage di Capaci”.
“Mi disse che si erano avvalsi per la strage di Capaci dei servizi segreti libici”. La frase venne poi raccontata a un altro codetenuto di Riggio, di cui fa il nome, e dice: “Glielo raccontai e questi mi disse che effettivamente il suocero” dell’ex poliziotto era un appartenente ai servizi segreti libici”. Sempre Riggio dice di avere appreso dal contenuto che “mi disse che” l’ex poliziotto “era al Sismi e che il suocero era nei servizi libici e che stava a Catania”. “Non si mostrò sorpreso quando gli dissi queste cose”, conclude Riggio.
LEGGI ANCHE:
I buchi neri della Strage di Capaci: ecco tutti i misteri irrisolti
“Ex poliziotto mise l’esplosivo sotto l’autostrada”, l’ultima rivelazione sulla Strage di Capaci