“Il 23 maggio è una di quelle date, come il 19 luglio e, purtroppo, tantissime altre, che ci fa rivivere il dolore, lo sbandamento e l’annullamento di speranza provati ogni qualvolta la Sicilia ha visto cadere i suoi figli migliori che hanno sacrificato la vita per quest’Isola, amata dagli dei e, spesso, profanata da uomini empi“. Lo scrive in un post su Facebook l’assessore regionale ai Beni Culturali e all’Identità siciliana Alberto Samonà.
“Sono trascorsi trent’anni da quel maledetto giorno che vide saltare in aria, nelle vicinanze di Capaci, il giudice Giovanni Falcone, assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro – prosegue Samonà -, ma quelle tragiche immagini, che non raccontavano un film ma la raccapricciante realtà, sono scolpite così indelebilmente nella mente, quasi marchiate a fuoco, da dargli la forza del “presente”. A me, che all’epoca avevo vent’anni, mi si cristallizzarono dentro e fecero comprendere di essere dinanzi a un attentato dalla portata epocale a cui seguì, appena due mesi dopo, quello a Paolo Borsellino. Quella stagione fu per la nostra Palermo un punto di non ritorno, il momento definitivo in cui scegliere senza tentennamenti da che parte stare. E non solo a parole…”. Per l’assessore ai Beni Culturali “chi amministra e governa la nostra Terra, ha il dovere etico e morale di conformare ogni propria azione all’esempio di coloro che per il bene comune, per la vittoria dello Stato sull’illegalità e sul sopruso, hanno pagato, versando il proprio sangue. Solamente se ciascuno farà la propria parte a tutti i livelli – conclude Samonà -, allora il sacrificio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, degli agenti delle loro scorte, del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, che cito perché quest’anno ricorre, anche per lui, il trentennale dell’assassinio, e di tutte le altre vittime della mafia, non sarà stato vano“.