Carissimi
Il signor Antonio, non era un mafioso, non era neanche una persona affiliata a famiglie malavitose, non era un prete eppure tutti lo chiamavano “Don”, gli davano del “Don” e per me che lo guardavo dal basso verso l’alto, visto la mia piccola età, era un gigante, seppur un po’ sghimbescio e non perché era stato fatto male, ma perché la sua postura era rimasta compromessa nel periodo in cui con una valigia di cartone andò a cercare fortuna in Belgio come tanti suoi compaesani, lui era molto orgoglioso di quella esperienza che gli aveva permesso, malgrado il pesante infortunio di guadagnarsi una bella pensione anticipata e tornare qui nella sua terra a ricoprire un ruolo di prestigio e di grande responsabilità, ma non manuale e poi diciamolo benché il paese di nascita avesse dato i natali a gente che avrebbe fatto la storia della prima parte del secolo scorso per aver rappresentato il contropotere, lui, Don Antonio, quella divisa la indossava con grande personalità e specialmente quel cappello con su scritto “Portiere”.
Antonio, il sig. Antonio, per tutti “Don Antonio” era il portinaio del mio stabile e comandava lui, lo si capiva quando le poche volte che nel pomeriggio non veniva sorpreso nel sonno dietro la “guardiola del potere”, restava dritto, beh quasi dritto, vista la sua offesa fisica, in divisa davanti al portone come quei cani da guardia che ti mettevano terrore solo a guardarli, figuriamoci ad avvicinarti.
Lui aveva il potere “di vita e di morte” sul marciapiede davanti la portineria, su quella che era la sua “riva”, tanto che ero più che mai convinto che quel tratto di battuto di cemento fosse dotato di uno statuto speciale e che neanche il Presidente della Repubblica avrebbe potuto intimare nulla a Don Antonio nell’esercizio delle sue funzioni.
Don Antonio era molto ossequioso della religione e delle festività, tanto che giunti sotto Natale lui ricordava a tutti, anche i più distratti, l’avvicinarsi delle festività, esponendo dietro il vetro della guardiola una triste cestino rosso con dentro una pallina di spuma gialla e un tratto di nastrino d’argento spelacchiato attaccato con un pezzo di nastro adesivo ad un cartello con scritto “buone feste”.
Don Antonio era certamente dotato di poteri sovraumani e me ne accorsi il giorno in cui per cercarlo superai la zona “off limts” del suo alloggio dietro la guardiola, scoprendo l’esistenza di quello che oggi chiameremmo un unico ambiente arredato, con cucina e wc annesso nel quale lui “abitava” con moglie e 4 figli, non mi volle mai spiegare dove era il passaggio segreto che conduceva alle altre stanze nascoste, a noi bambini non era concesso sapere quali fossero gli accordi con i servizi segreti che gli imponessero tale segretezza, ma lui era bravo a mimetizzare il tutto tanto da rendere reale ciò che vedevamo.
Don Antonio era sempre vigile, il resto della giornata, (tranne quando non dormiva) nel pomeriggio nella sua sedia ed era sempre pronto alle risposte che i condomini gli rivolgevano e a volte faceva anche degli scherzi, come quelli quando gli si chiedeva “Don Antonio, mio madre è sopra” e lui con prontezza seppur lasciando il beneficio del dubbio rispondeva “si, nun l’haiu vistu passari” e poi scoprivi che tua madre era scesa un paio di ore prima, oppure il suo “mi parsi ca a vitti scinniri” quando era a casa.
Mai dare vantaggi, da lui ho imparato l’importanza di tenere sempre il beneficio del dubbio.
Di Don Antonio, mi rimane solo quella fotografia in bianco e nero davanti la portineria fatta grazie alla macchinetta fotografica ad obiettivo fisso regalatami per la prima comunione dove lui al cento con la sua divisa e il cappello, fiero, guardava lontano verso l’orizzonte, come una novella statua della libertà, con una “nidiata di cagnuoli” (noi ragazzini attorno a lui) a celebrare la libertà di una infanzia passata a giocare sul marciapiede. Tempi che furono, prima dell’avvento dei videocitofoni, noi poveri ma gente semplice.
Un abbraccio, Epruno