Sta portando scompiglio nei fragili equilibri interni al Pd la notizia della “conversione renziana” dell’assessore all’Agricoltura Antonello Cracolici. Nessuno o quasi, fino a poco tempo fa ci avrebbe scommesso un centesimo. Eppure è accaduto. O meglio, il passaggio all’area Renzi è nell’aria dopo l’incontro romano dei giorni scorsi. All’orizzonte si prospetta l’ipotesi di un sostegno di Cracolici a Renzi al congresso nazionale del Pd, ma da posizioni distinte e distanti da quelle del collega-rivale Davide Faraone, fino a oggi (o fino a ieri) voce più autorevole dell’universo renziano in Sicilia. E che adesso sembra annaspare in acque alquanto agitate.
La domanda, comunque, sorge spontanea: che hanno in comune Cracolici e Renzi? Il primo, espressione di un mondo di sinistra, che nel Pd vuole ancora avere voce in capitolo, nonostante le defezioni delle scorse settimane da parte di chi ha seguito l’ex segretario nazionale Bersani e la ben più grave emorragia di militanti e iscritti, che negli anni hanno abbandonato il partito in silenzio. Un mondo che viene dai Ds e ancor prima dal Pci, quando Cracolici, allora giovane dirigente della Fgci, guidava i cortei palermitani antimafia.
Il secondo, il neodem Renzi, sensibile ai richiami del mondo finanziario e bancario e circondato da molti rampanti giovanotti e “yes man” che non hanno e non vogliono avere nulla a che vedere con il passato diessino di alcuni big del partito.
E soprattutto ancora, quali saranno gli effetti dell’asse Renzi-Cracolici sulla politica regionale siciliana, sulle imminenti amministrative di Palermo e sul partito in Sicilia?
Queste sono anche le domande che in queste ore diversi dirigenti del Pd si stanno ponendo, in attesa di conoscere il proprio futuro.