Una grande luna sta a guadare, dall’alto, tra le macerie di un teatro che occupa il palco della Sala Grande del Teatro Biondo dove replica “I Giganti della montagna“, diretto e interpretato da Gabriele Lavia.
Dei personaggi che escono dal testo incompiuto di Luigi Pirandello, Lavia, tra i più apprezzati “teatranti” nel panorama nazionale, interpreta Cotrone, il mago che “agli orli della vita vive di questi incontri”.
È qui che accoglie, alla villa detta La Scalogna, una compagnia di teatranti guidata dalla contessa Ilse (Federica Di Martino).
Il teatro nel Teatro
Cotrone, che per Lavia è lo stesso Pirandello, vive rifugiato o emarginato nella propria illusione che il Teatro possa essere il Luogo Assoluto. “Fuori da ogni contaminazione. Lontano da quei Giganti, da quelle “forze brute”, da quegli uomini che mettono paura solo a sentirli passare al galoppo”; si legge nelle note di regia.
Arrivano in questo luogo, che è una “continua sborniatura celeste” attraversando, rumorosi e festanti, la platea del Biondo. Sono “teatranti nel sangue, di nascita” e vanno girovagando da due anni portando in scena la Favola del figlio cambiato.
Sono anime che si scaldano con un non nulla, “larve di quello che fummo” declamano, che coltivano ancora la speranza dell’esistenza della poesia, condivisa dallo stesso Cotrone. “Ero cristiano e mi sono fatto turco per il fallimento della poesia della cristianità“, dice.
La “compagnia allargata” (Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro; gli Scalognati: Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marika Pugliatti, Beatrice Ceccherini; i Fantocci: Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia) incanta con il suo racconto, tra abbacinanti luci dai colori acidi e movimenti che sfociano spesso, piacevolmente, nella platea, coinvolgendo simbolicamente il pubblico. E Lavia, saldo nel suo ruolo di guida, come regista e come attore, vuole raccontare di una speranza viva.
Una certezza laica, che la poesia non può morire.
Dal testo incompiuto
È un atto di fede nel Teatro soprattuto il finale dello spettacolo che, con quel velario bianco che attraversa dall’alto in basso la scena, protegge ed è pronto a svelare il suo futuro.
Il pubblico della prima applaude e omaggia la scelta di Lavia.
Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro Biondo di Palermo, dalla Fondazione Teatro della Toscana e dal Teatro Stabile di Torino, replicherà fino al 15 dicembre.