Il tanto atteso debutto di “Bestie di scena” al Teatro Biondo ha registrato applausi da parte del pubblico palermitano, forse il più temuto dalla regista Emma Dante, nella tappa di una parabola che ha visto replicare lo spettacolo in Italia e in Europa, riscuotendo consensi e critiche.
Annunciato come “l’opera più estrema e personale” dell’artista residente del teatro stabile della città, la pièce si caratterizza per essenzialità visiva e tecnica, tratti propri della Dante che, ancor più in questa occasione, in un’opera priva di testo, sottendono una capacità narrativa subliminale.
Sipario aperto e luci in sala accese accolgono lo spettatore, che nel prendere posto vede già il gruppo di attori in palcoscenico: una squadriglia ordinata che si esercita, occupando lo spazio con scenografie geometriche corporee ritmate, al limite dello sfinimento.
Sei uomini e sette donne, tenuta d’allenamento, che rispondono già ad un ordine venuto chissà da dove: attori senza personaggio né ruolo definito.
Imprigionati in una scatola nera, vuota, questi corpi, marionette senza fili, “anime avvinghiate in una ronda silenziosa“, sono pronti a manifestare la loro essenza di “bestie“.
In un ritmo schematico che presto svela, oggettivamente e metaforicamente, quanto accadrà, gli attori abbandonano uno dopo l’altro ogni indumento, fino a rimanere completamente nudi sotto l’occhio dello spettatore, nudità che si presta a diverse interpretazioni.
Pudori, titubanze e vani tentativi per celarsi all’occhio di chi può accoglierli o rifiutarli: la maestria della Dante sta nella scelta scandalosa, nel senso etimologico del termine, e non scandalistica, di mettere a nudo questi esseri umani per renderli “creature originali“, animali in quanto non civilizzati da orpelli di dubbia civiltà quali possono essere gli abiti. E’ in questa lettura che la nudità diventa dettaglio trascurabile.
Inermi davanti alla vita, come possibili Adamo ed Eva contemporanei, gli attori si trovano sottoposti a tentazioni e giochi che sfiorano il sadismo, senza alcun margine di scelta; qui irrompe tutto l’ego della regista che “mette in scena imbecilli governati da muscoli e riflessi sollecitati a raggiungere uno stadio in cui è il corpo a pensare“.
Tra scoppi da cui difendersi, sfide lanciate per farli combattere, palloni con cui giocare e arachidi lanciate sul palcoscenico che dovrebbero saziare la primordiale natura scimmiesca, si muovono le bestie, in una prova sfiancante che però reggono bene fino alla fine; interagiscono fra loro scoprendo, nella criticità della circostanza, sentimenti quali l’assistenza e l’incontro dell’altro.
Niente parole, solo mugugni e frasi a valanga, volutamente incomprensibili espresse nei dialetti del Sud, solo una canzone, di una dolcezza stonata, “Only you” dei Platters.
La svolta finale, “nuovo stimolo per lo spettacolo mancante” della Dante, sta tutta nella ribellione all’ultima richiesta: sulla scena irrompono da ogni parte delle quinte abiti che questi uomini e queste donne, a questo punto ci piace definirli così, dovrebbero indossare come ultimo comando. Ciò non accadrà, resi forti dalla forzata nudità iniziale, preferiranno offrirsi ancora una volta, con dignità riconquistata, all’occhio dello spettatore.
Prodotto dal Biondo insieme al Piccolo Teatro di Milano, alla Compagnia Sud Costa Occidentale e al Festival d’Avignon, lo spettacolo vede in scena: Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli, Marta Zollet; nel cast anche Daniela Macaluso e Gabriele Gugliara.
Repliche fino al 21 ottobre.