In Sicilia il dibattito sui termovalorizzatori è più acceso che mai. Smaltire i rifiuti indifferenziati è una questione spinosa, che incide direttamente sulla salvaguardia dell’ambiente, sulle casse regionali e sulle tasche dei cittadini. Gli elevati costi di gestione della raccolta e la produzione di energia sono soltanto alcuni dei temi che ruotano intorno al destino dei residui non differenziabili.
Un recente report realizzato da Legambiente ha messo in evidenza i buoni risultati raggiunti nell’Isola in tema di raccolta differenziata, motore dell’economia circolare per i rifiuti. Tuttavia, ancora il 46,66% di questi non viene riciclato e alimenta il dilemma su quali siano le migliori modalità per la loro eliminazione. Tra le varie possibilità, la strada percorribile in tempi più celeri, ma anche una delle più dibattute è quella dei termovalorizzatori. Il piano regionale dei rifiuti attualmente vigente prevede il raggiungimento dell’obiettivo di 230.000 tonnellate come soglia massima di rifiuti secchi indifferenziati entro il 2030.
Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia, non nasconde le sue perplessità sull’attivazione di questi impianti nell’Isola: “Dal punto di vista gestionale e tecnologico questi impianti appartengono al passato e non sono utili neanche secondo la normativa europea sul raggiungimento degli obiettivi di riciclo previsti dalla strategia dell’economia circolare”.
“Ritengo piuttosto – prosegue – che sia necessario puntare sull’aumento della quantità e qualità della raccolta differenziata per raggiungere gli obiettivi di riciclo. E poi grazie alla qualità della raccolta differenziata è possibile avviare quegli impianti di recupero dei rifiuti differenziati e di valorizzazione e riciclo per i rifiuti indifferenziati, che sarebbero materie prime e seconde da trasformare in nuovi beni e oggetti”.
La direzione del governo regionale è però opposta. Ne è la dimostrazione anche l’istituzione di un Ufficio speciale a supporto del Commissario straordinario per i termovalorizzatori in Sicilia, così come previsto dal cosiddetto decreto energia.
Il funzionamento dei termovalorizzatori è abbastanza semplice. I rifiuti stoccati vengono infatti bruciati a temperature che si aggirano intorno ai mille gradi. Per mantenere costante questa soglia, spesso viene anche utilizzato del gas metano, specie se la composizione del materiale non sia già sufficiente a far raggiungere un calore così elevato. Il processo di combustione produce vapore attraverso l’ebollizione di acqua che circola nelle caldaie dell’impianto. La componente gassosa a sua volta aziona una turbina per la trasformazione in energia elettrica.
I materiali di scarto sono pari a circa il 10% del volume dei rifiuti stoccati e dopo un’operazione di raffreddamento vengono smaltiti in discariche speciali. I fumi derivanti dalla combustione, invece, sono soggetti a un’operazione di filtraggio e vengono poi rilasciati nell’atmosfera.
Tuttavia, se da un lato i termovalorizzatori permetterebbero la produzione di energia, il graduale abbandono delle discariche, e la diminuzione dei costi di gestione attraverso gli impianti di prossimità, dall’altro lato si pone il problema dell’inquinamento.
A proposito di costi, un recente dossier di Anci Sicilia ha evidenziato che nell’Isola la spesa sostenuta dai cittadini per la gestione dei rifiuti è almeno doppia rispetto che in altre Regioni italiane. Questo dipende soprattutto da una situazione di oligopolio nelle aziende che si occupano della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, ma anche dalle lunghe distanze che i mezzi devono percorrere per conferire i residui nelle poche discariche esistenti.
La possibilità di ridurre i costi attraverso gli inceneritori è però controbilanciata dall’impatto ambientale che questi avrebbero sull’atmosfera. Secondo Tommaso Castronovo, presidente di Legambiente Sicilia: “Gli inceneritori sarebbero nelle condizioni di produrre energia, ma un tipo di energia più impattante dal punto di vista ambientale perché producono più emissioni di CO2. Bruciare una tonnellata di rifiuti equivarrebbe a produrre quasi una quantità equivalente di CO2. Diverso invece sarebbe per i sistemi di rigassificazione”.
Le emissioni di sostanze inquinanti possono certamente essere contenute maggiormente attraverso una manutenzione continua delle componenti di filtraggio del termovalorizzatore. Tuttavia, queste rimangono elevate e si aggiungono al residuo solido dello scarto di lavorazione. La porzione metallica di quest’ultimo, tuttavia, può essere in buona parte riciclata nell’ottica della circolarità.
Evitare delle lavorazioni che richiedano l’impiego di tempistiche dilatate è però possibile attraverso delle soluzioni alternative. Secondo Tommaso Castronovo, infatti, “un’altra tecnologia che noi riteniamo meno impattante rispetto agli inceneritori è il waste to chemical (Was), cioè un impianto di rigassificazione. In questo caso – prosegue – è possibile produrre anche materie prime secondarie, come etanolo e idrogeno, che sono un importante output di energia circolare. Gli inceneritori sarebbero nelle condizioni di produrre energia, ma un tipo di energia più impattante dal punto di vista ambientale perché producono più emissioni di CO2″.
“A nostro parere, – conclude Castronovo – per gestire la residua quantità di rifiuti non differenziabili, le tecnologie oggi disponibili sono anche quelle della produzione del combustibile secondario, che dovrebbe essere utilizzato sempre di più nei cementifici al posto del pet coke che ha un impatto ambientale molto più alto rispetto ad altri combustibili”.