«Faremo scrivere a Gian Antonio Stella un altro articolo sulle Province, vedrete».
Nero d’umore e leggermente abbronzato, Crocetta sale le scale di Palazzo dei Normanni, indispettito contro il parlamento siciliano che gli toglie la sua travagliata, contorta, intermittente, ma alla fine comunque realizzata, riforma delle Province.
Ieri il dibattito in Aula non avrebbe potuto spostare di un millimetro il blitz, ormai da diverse settimane in corso, all’interno dell’assemblea legislativa.
Questo principalmente per due motivi. In campagna elettorale ci sarà una cosa da più da promettere e con elezioni da svolgere in primavera, il riposizionamento nei territori per chi oggi deve assicurare un coinvolgimento diretto alla ricerca dei voti per le regionali, è un argomento convincente.
In secondo luogo, l’asse che ha portato al sovvertimento della situazione precedente, capitanato dal capogruppo all’Ars di Forza Italia Falcone, ha tutto l’interesse a marcare i passaggi a vuoto e anche quelli parlamentari dello schieramento Pd Crocetta.
Infine, un po’ tutti considerano ad alta voce che se le funzioni agli enti di area vasta sono rimaste, allora tanto vale ci sia anche una rappresentanza democratica e non una semplice elezione di secondo grado.
Quello che sicuramente accadrà, già in queste ore, sarà l’esposizione della Sicilia a luogo del privilegio e della casta. A causa del fatto che esiti, equilibrismi e leggi fatte male, non si possono spiegare in dettaglio quando passa invece un messaggio di questo tipo.
Anche chi pensa di aver vinto dunque ieri ha perso.
Il voto strutturato dei territori forse si farà sentire e applaudirà, ma la politica debole d’interlocuzione con i governo nazionale, in ampia controtendenza sulle Province, non porterà risultati.
Il governo nazionale chiuderà la porta in faccia all’Isola. Arrivi o meno l’impugnativa.