I finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno sequestrato oltre 65.000 euro a tre dirigenti medici in servizio in un ospedale Papardo accusati di peculato, truffa aggravata e falso in atto pubblico.
L’operazione nasce da una indagine, coordinata dalla Procura guidata da Maurizio De Lucia, sul rispetto della disciplina dell’esercizio dell’attività intramuraria da parte dei tre professionisti, uno dei quali già sospeso dalla professione il 9 settembre. Le indagini sono state effettuate dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria attraverso perquisizioni, acquisizioni di documenti, attività di osservazione e pedinamento, ricostruzioni contabili e intercettazioni telefoniche.
Gli elementi acquisiti a carico di Carmelo De Francesco, endocrinologo e Santi Sorrenti, cardiologo, hanno consentito di ricostruire un quadro indiziario che confermerebbe – scrive. Il gip – “la sistematica effettuazione di visite in studio privato” (non autorizzata). Sono stati trovati- spiega il giudice – “pazienti in attesa di essere visitati, agende e strumentazioni che provano l’attività“. La Finanza ha contestato ai medici l’aver ricevuto dai pazienti pagamenti in contanti, il falso in atto pubblico per aver, in alcune circostanze, attestato visite prestate in ospedale, mentre, di fatto, le persone venivano ricevute in uno studio privato esterno all’ospedale e per aver intascato indebitamente l’indennità “di esclusività” del rapporto d’impiego pubblico e le somme percepite per quella parte di attività svolta regolarmente all’interno delle mura ospedaliere. “Somme, certo indebitamente ricevute, – scrive il gip – posto che gli indagati le hanno percepite violando il rapporto di esclusività“, e per le quali “saranno esperibili rimedi disciplinari” .
Per uno dei tre indagati, Francesco Mastroeni, il giudice per le indagini preliminari ha poi ritenuto sussistente l’ipotesi di truffa aggravata ai danni dell’Ente pubblico, perché, prendendo l’indennità di esclusività avrebbe frodato il datore di lavoro. Il denaro ricevuto è stato sequestrato. L’attività intramuraria, oltre a dover essere oggetto di espressa autorizzazione ed a determinate condizioni, prevede che l’utenza prenoti la visita tramite il Centro Unico di Prenotazione della struttura aziendale (cd. C.U.P.) e, prima dell’effettuazione della prestazione, il paziente provveda al pagamento all’ufficio ticket dell’importo dovuto, secondo il tariffario predeterminato dall’ospedale. A valle, il medico riceve, i compensi direttamente in busta paga. I professionisti, invece, tutti dello stesso ospedale, legati all’azienda sanitaria da un contratto che prevedeva un rapporto di esclusività, effettuavano visite specialistiche all’interno del reparto, richiedendo e ricevendo da una significativa platea di clienti il pagamento in contanti, omettendo di rilasciare qualsiasi ricevuta fiscale e di versare all’azienda sanitaria la percentuale dovuta, oppure ricevevano i pazienti in studi privati non dichiarati al fisco.
Uno dei medici indagati faceva fare la prenotazione al Cup solo a posteriori, così l’ospedale emetteva una ricevuta che riportava, inevitabilmente, una data successiva alla visita effettuata. Nella quasi totalità dei casi, i pazienti hanno confermato di aver effettivamente versato in contanti, nelle mani dei professionisti o loro collaboratori, importi dagli 80 ai 150 euro, senza aver effettuato alcuna prenotazione al C.U.P. e senza ricevere, all’atto del pagamento, alcuna ricevuta. “I dati fattuali appaiono inconfutabili”, scrive il gip.