Quando Tatiana ha lasciato la sua casa ha portato con sé solo una borsa. Del resto non avrebbe potuto altrimenti. Ha viaggiato 1 giorno in Ucraina e altri 3 tra Polonia, Romania, Ungheria, Italia, per riabbracciare la figlia Liudmyla a Messina. In treno, a piedi, in auto, in pullman. Tutto quel che aveva era il cellulare, con il quale mentre era in fila al confine con altri 15 mila ha scritto alla figlia “qui muoio”. Pensava di non vederla più.
Me lo sono chiesta spesso guardando le file di donne, bambini, anziani, accalcati nelle stazioni per prendere il treno, o per strada, accanto alle auto. Infagottati tengono per mano bambini e peluche, borsoni e cagnolini. Mi sono chiesta cosa avrei fatto io in quei minuti concitati prima di chiudere la porta. Al di là dell’essenziale pratico, medicinali, cibo, soldi, documenti, cosa porti con te quando la paura bussa alla tua porta e non hai tempo. Non sai se tornerai o se avrai mai più una casa, “quella” casa, la tua, che è molto più di quattro pareti e un pavimento, perché è quello che rappresenta per te. Ti si è attaccata alla pelle.
Se scappi non hai tempo per pensare ma mentre riempi il borsone lo capisci che quella casa tua non sarà mai più tua. Potrebbe essere devastata dalle bombe o stuprata dai saccheggiatori che frugano tra le tue cose, i ricordi, gli oggetti amati, le fotografie, i vecchi libri, gli orrendi soprammobili che porti da ogni viaggio. La tua poltrona. Magari hai passato gli ultimi anni a lamentarti, la volevi più grande, più piccola, più accogliente o più isolata. E ora, mentre scappi, ti accorgi che invece quella casa sei tu. Hai pochi minuti per decidere cosa portare di tutta la tua vita che resti con te in un viaggio verso l’ignoto.
LA COPERTA DI LINUS 2.0
Me lo sono chiesto e l’ho anche domandato ai miei amici. Tutti pensiamo subito al cellulare ed al carica batterie. Da lì dipende tutta la nostra vita di uomini e donne tecnologicamente progredite e molto, molto, molto social. C’è la rubrica con i contatti, a proposito chi si ricorda il numero dei propri cari a memoria? Sì il numero, perché oggi cerchiamo il contatto col nome e raramente conosciamo le cifre che lo compongono. Ci sono i gruppi whatsapp, telegram, instagram, facebook. Lì ci sono migliaia di selfie, i nostri momenti social degli ultimi anni. Il cellulare è la coperta di Linus 2.0.
LA VITA “DENTRO”
Però poi lo avverti dentro lo stomaco che no, non è vero che nel cellulare c’è la tua vita. Forse c’è quello che si vede “fuori”, che vuoi far vedere. Ma ora che stai per scappare capisci che non basterà. Tra l’altro quando scappi dalla guerra e ti si scarica il cellulare non è per nulla facile ricaricarlo, ti resta in mano muto e spento come una macchina senza benzina. E se finisce anche il credito come ricarichi la sim?
COSA PORTANO I RIFUGIATI
Lo Zeit Magazin ha chiesto ai rifugiati arrivati in Germania dall’Ucraina cosa avessero portato con sé. C’è chi ha portato con sé una tazza della serie Rick e Morty, regalo della sorella rimasta in Ucraina. La signora matura ha portato quelle scarpe di danza classica comprate da un paio d’anni, quando ha rispolverato il sogno di bambina. Un adolescente ha portato il suo portafortuna, un paio di guanti da thai box. Una ragazza il suo diario. Un altro il calendario 2021 fermo al 31 dicembre. Un altro ancora un orologio fermo con il fuso orario dell’Ucraina e l’ora della fuga. Una giovane donna ha portato le cartoline di auguri che con gli amici si sono scambiati in occasione del natale ortodosso (il 7 gennaio 2022).
Ho fatto un mini sondaggio tra i miei amici. “Una foto, il libro che mi ha fatto piangere e il mio scacciapensieri”. “Solo le mie gatte”. “la targa dell’unica gara che ho vinto”. “I miei cd da collezione”.
10 MINUTI PER SCAPPARE
Ho fatto un esperimento: ho guardato l’orologio e mi son data 10 minuti per decidere cosa mettere nella borsa. Già la scelta della borsa è stato un dilemma perché come ogni donna sa ogni borsa ha un suo perché, è legata ad un ricordo e ad un motivo preciso se è nel nostro armadio. Nessuna borsa è per caso nel nostro guardaroba quotidiano.
LE FOTOGRAFIE?
All’inizio ho detto: prendo le fotografie, quelle che non ho messo su facebook, perché sono troppo mie, mai esposte agli occhi del mondo. Poi ho dato una rapida occhiata agli scatoloni ed ai 10 album di foto e ho capito che sarebbe stata impresa impossibile. Inoltre quale scelgo, quelle in cui c’erano tutti quelli che oggi non ci sono più o quelle in cui si sono quelli che nel frattempo sono arrivati?
UN LIBRO?
Prendo un libro. Sgomento davanti alla libreria. Quale prendo, quello che mi ha fatto piangere di più ed ho letto sei volte o quello che mi ha cambiato la vita? Il primo libro che ho letto da adolescente (Un uomo di Oriana Fallaci) o il libro che ho scritto su Graziella Campagna (e non ci sono più copie in giro?). Siddartha, il Manuale del guerriero della luce o la Chiave di Hiram? Nessun e-book sostituirà queste pagine sottolineate e ingiallite, con le piccole orecchie ai bordi, con il segnalibri lasciato per sempre a quella pagina lì, perché è lì che devo riandare.
IL COMPUTER?
Un pennino quello sì. Il tablet lite, che è piccolo, leggero e sottile. Ma è davvero la mia vita? E’ il mio lavoro che mi consente di poter scrivere da ogni parte del mondo. Già, ma se non c’è la connessione? E se si scarica e non posso ricaricarlo? E in fondo, la nostra vita è il nostro lavoro o il nostro lavoro è diventato l’unica vita che conosciamo?
IL DIARIO, LA TAZZA
Guardando tra gli armadi ho scovato il diario segreto di quando ero bambina. Il primo romanzo scritto a penna e mai finito avevo meno 15 anni. Il libro di poesie pubblicate da ragazzina e che a mio padre costò un sacco di soldi ma per la sua bambina questo e altro. Porto le foto incorniciate che ho sul comodino e che mi porto in ogni volta che affitto una casa al mare per renderla più mia? O il calendario del 2009 quando il tempo si è fermato per sempre in una data ben precisa? Il jutsu buddista, o la tazza di quando mio figlio era neonato?
LA SCIARPA, LE CALAMITE, IL RITRATTO
Una famiglia di pinguini che ho comprato di nascosto contro il volere di tutti ad una fiera a Villafranca Tirrena e che mi ostino a mettere a vista in salotto mentre mio marito continua a spostare dove non si vedono? La targa in ceramica che ho fatto realizzare da un artigiano in un’estate meravigliosa con la scritta “diventa grande come i tuoi sogni”. Le “porron” per il vino ricordo della Spagna 45 anni fa, o il pigiama mordicchiato dal mio cane Gigi quando era cucciolo, le calamite del frigo una per ogni luogo visitato, la collana di perle che mia sorella ha indossato per il suo matrimonio, prima di lasciarci? La sciarpa giallorossa del Messina negli anni d’oro o il ritratto a matita che mi ha fatto mio figlio a 6 anni che ho incorniciato?
Esperimento fallito. Mentre io viaggiavo nel tempo come se stessi organizzando un trasloco era passata mezz’ora. Se avessi avuto i carri armati alle porte di Messina a quest’ora sarei finita sotto le macerie con in mano la bomboniera dei miei 18 anni.
NELLA MIA BORSA
Così ho capito. Nella mia borsa già oggi ci sono le foto del cuore, quelle sbiadite dal tempo e dalle lacrime, c’è il carica batterie portatile, una chiavetta, qualche cerotto e campioncini di profumo. C’è un fermacapelli in legno che conservo da 40 anni e mi porta fortuna e un biglietto scritto a mano da chi non c’è più. C’è un block notes e cinque penne e due matite, per poter scrivere anche quando si scarica il pc o non c’è elettricità e non c’è connessione. Porterò con me un anello, quello che era di mia nonna Sara e poi di mia mamma Vita e ora ho io.
TUTTA LE VITA NEL CUORE
Nient’altro, perchè tutta la mia vita è nel mio cuore che è talmente grande e non pesa proprio nulla. Anzi, posso usare la mia borsa per far spazio agli altri. La guerra non annienta solo i corpi, l’eco delle bombe sta devastando la vita di uomini e donne. Una volta chiusa quella porta non sai cosa accadrà. Chissà se nelle 12 ore in treno all’improvviso la nostalgia li ha trafitti col ricordo di quel qualcosa unica solo per loro. E al caldo nelle nostre ville scopriranno che dalle nostre finestre il mondo è sicuro ma non è il loro, non c’è l’albero che ad ogni autunno perdeva le foglie e in primavera accoglieva le rondini, non c’è quello scorcio di città che era il loro.
LE RADICI DEI PROFUGHI
Sono dettagli che diventano giganteschi. Spero che sì, riusciranno a tornare a casa e magari chi sarà fortunato la troverà ancora in piedi, anche saccheggiata, bombardata, ma ci sarà. Altri si rifaranno una vita altrove e magari staranno anche meglio. Ma le radici sono quel peluche che i bambini portano con sé, la sciarpa giallorossa che se la scordavo a casa quando andavo allo stadio mi sentivo in colpa e se il Messina perdeva era solo a causa mia.
Le radici le puoi piantare da un’altra parte ma chissà se fosse toccato a me sul treno quante volte avrei pensato “potevo portarmela quell’orrenda famiglia di pinguini che ho comprato di nascosto a tutti”. Avrei provato dolore sapendo che qualcuno è entrato,li ha scaraventati a terra e ridotti in frantumi. Come il cuore di un profugo.
Ci sono cose che nessun telefono, nessun computer, nessun wi fi può darti. Non hanno bisogno di spazio perché stanno tutte dentro il cuore. Ecco, scappando dalla guerra chiuderei la porta di casa e aprirei quella del cuore per ritrovare quei ricordi, quei sentimenti, quei pezzi di vita che credevo di avere dimenticato, di cui pensavo di non aver bisogno.