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Tutto è fattibile quando la paralisi non è cerebrale. Intervista a Luca Pancalli

lunedì 16 Luglio 2018

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Toccando l’argomento ‘sport’ entriamo in un settore che in Italia si traduce nella passione per guardare, più che praticare. Non si diventa sportivi in pochi mesi.

Ci vogliono anni di sacrifici. Se lo sport è un investimento economico, energetico e temporale in proporzione all’età pensiamo a chi, non più giovane, inizia a frequentare palestre, specialmente agli anziani non sportivi che debbono fare i conti con una serie di problematiche fisiche come la demineralizzazione ossea, l’anchilosi e l’artrosi. Non è solo una questione di età, ma anche di carattere, che sia tendenzialmente pigro e letargico. Nello sport non si può ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Al contrario ‟vince” chi ha un carattere laborioso, vitale, perseverante, tenace e capace di organizzare bene il tempo e l’alimentazione.

Ergo: età, carattere, tempo, alimentazione, tutti condimenti essenziali per non essere solo degli ottimi lettori, sostenitori e voyers dello sport, bensì atleti e ginnasti a tutti i livelli. Li ho citati tutti, ma se parliamo di età, parliamo anche di fisico, dunque, resistenza e possibilità fisiche. I disabili hanno i requisiti per praticare sport? Per diventare atleti, vincere medaglie, partecipare ai campionati italiani e internazionali? Se hanno una paralisi “cerebrale” assolutamente no.

Chiediamolo a Luca Pancalli, pentatleta, nuotatore e Dirigente sportivo italiano la cui biografia è ricca di nomine e vittorie paralimpiche, ma è anche segnata da un grave incidente che lo ha lasciato tetraplegico nel 1981, a soli 17 anni. Esperienza devastante per un ragazzo così giovane e promettente, da ogni punto di vista. Tutto il suo mondo, i suoi progetti, la sua vita affettiva sono stati messi in discussione, stravolti, se non addirittura disincantati. Quante cose non avrebbe potuto più realizzare e, nella tragedia, non è facile pensare a ciò che si può, invece, agire, quello che resta possibile fare.

Attenzione, però, io ho detto che Pancalli è stato colpito da una tetraplegia ovvero una paralisi delle gambe e non una paralisi fisica totale, cerebrale, affettiva, relazionale. Questa ultima patologia (psicologica), obtorto collo, si dirama dappertutto con molta più facilità della tetraplegia. Non c’è bisogno di cadere da cavallo per ammalarsi di depressione, apatia, narchè (gr., torpore), anedonia, povertà di interessi, povertà negli affetti, mentalità aprogettuale, dipendente e murata e, a quanto sembra, è contagiosa e va in metastasi molto rapidamente. Forse, è più grave della tetraplegia, perché non si può camminare con la testa e vivere da vivi.

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