È trascorso un anno dall’attacco militare da parte della Russia di Putin all’Ucraina colpevole solo di volere costruire il proprio futuro in piena libertà liberandosi da ogni ipoteca di vassallaggio nei confronti di altri Stati. Non è credibile, peraltro, la motivazione di Putin che l’adesione dell’Ucraina al mondo occidentale avrebbe comportato un pericolo per l’incolumità del potente vicino come se altri paesi dell’ex patto di Varsavia confinanti con la Russia non abbiano da tempo fatto questa scelta senza alcun sconvolgimento.
Continua così la storia tormentata di questo paese costellata da continui conflitti, persecuzioni, incursioni territoriali, forzate annessioni che non gli hanno mai consentito una libera identità nazionale.
Già nel medio evo era un paese aggregato al gran Ducato di Lituania e nel 1654 entrò a fare parte della Russia zarista. Nell’ottocento vi fu un risveglio del sentimento nazionale e assistiamo ai primi tentativi di dare vita alla nazione Ucraina che furono però ben presto soffocati nel sangue dalla repressione dello Zar.
Con la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e la caduta dell’impero zarista riprendono con forza le rivendicazioni di indipendenza nazionale da parte di paesi come la Polonia, la Finlandia e l’Ucraina di fronte a cui Lenin ne comprese le ragioni e firmò contro il parere del Soviet supremo la concessione dell’indipendenza. Non a caso Putin in maniera sprezzante recentemente ha dichiarato che non esiste una nazione ucraina e che questa è stata una invenzione di Lenin.
Una scelta che il leader sovietico, da politico intelligente adottò per non lasciare alle forze reazionarie e di destra la bandiera dell’indipendenza ma anche per i principi e i valori che sostenevano il suo progetto rivoluzionario tra cui quello dell’autodeterminazione dei popoli: << se la Finlandia, la Polonia e l’Ucraina- ebbe a dire– si separano dalla Russia non c’è niente di male e chi pensa il contrario è uno sciovinista… bisogna essere usciti di senno per continuare la politica dello zar>>.
Chi, infatti, subito dopo la sua morte “uscì di senno” fu il suo successore J. Stalin, che non solo reintegrò l’Ucraina nella nuova URSS ma fece di più e peggio. Avviò con particolare accanimento in Ucraina che era uno dei maggiori produttori di grano in Europa la collettivizzazione forzata delle campagne sterminando o trasferendo in regioni più lontane chiunque si opponesse, i cosiddetti Kulaki, considerati i contadini ricchi. Si alimentò, così, nella popolazione un sentimento di odio che gli ucraini ebbero modo di ripagare nella seconda guerra mondiale in occasione dell’occupazione militare da parte dei nazisti collaborando con la Gestapo nell’ inviare nei campi di concentramento, e da cui non fecero più ritorno, i cittadini che erano legati all’URSS. Un odio mai sopito e che questa guerra contribuirà ad accrescere.
Ecco perché occorre porre fine al conflitto armato, affrontare la questione Ucraina che ormai ha assunto una dimensione internazionale che riguarda gli equilibri mondiali anche per le ricadute sul campo economico, commerciale ed energetico. Promuovere, quindi un “tavolo“ per la pace, affermando come punto irrinunciabile il diritto all’autodeterminazione dei popoli insieme alla sicurezza di ogni nazione per giungere a quella che Kant chiamava “ una pace perpetua”.
A tal fine va intensificata la mobilitazione e la solidarietà con il popolo ucraino. Anche coloro che non hanno condiviso e non condividono l’invio di armi, riaprendo una vecchia polemica tra pacifismo e diritto alla difesa non può sottrarsi a questo dovere di solidarietà e di sostegno a un popolo che, al di là della antipatia che Zelensky a taluni provoca, sta lottando per la sua sopravvivenza contro un aggressore che minaccia di ricorrere anche all’uso dell’atomica e che difende un principio universale, quello della libertà di ogni popolo di decidere il proprio futuro.
ELIO SANFILIPPO