“La legge Gelmini prevede che non possa partecipare ai concorsi per professore chiunque abbia un parente o affine fino al quarto grado con un professore dello stesso dipartimento, con un componente del CdA, con il Rettore o con il Direttore Generale (L. 240/2010, art. 18 comma b, ultimo periodo). La legge poi estende questo divieto alle procedure di attribuzione di assegni di ricerca, di contratti di Ricercatore a Tempo determinato e ai “contratti a qualunque titolo erogati” (art. 18 comma c). Quindi un parente di un consigliere di amministrazione, oltre a non potere partecipare ad un concorso per professore, non potrebbe avere dall’Ateneo un co.co.co. o qualunque altro tipo di contratto”.
Comincia così un’articolata lettera che i sindacati Snals e Cisl Università, per bocca di Giovanni Madonia Ferraro e Maurizio Ippolito, hanno inviato, fra gli altri, al Rettore e al Cda dell’Ateneo palermitano.
“L’Ateneo ha già ritenuto che questa norma si dovesse applicare ai componenti del CdA – scrivono i sindacati nella nota – e ha escluso il prof. Enrico Napoli da un concorso di professore ordinario. Perché adesso l’Amministrazione sta consentendo ad un componente del CdA, rappresentante del personale TAB, di partecipare ad un concorso di categoria D? È vero che la legge non cita esplicitamente la partecipazione ai concorsi da parte dei componenti del CdA nell’elenco delle incompatibilità, ma nel caso del professor Napoli il decreto di esclusione è stato motivato dicendo che se la legge vieta la partecipazione ai parenti dei consiglieri, “a maggior ragione” il divieto deve essere esteso ai consiglieri. Non si dovrebbe oggi dire che “se la legge vieta la partecipazione ai concorsi per assegnare contratti di qualunque tipo (ad esempio, a tempo determinato), a maggior ragione il divieto deve valere per i concorsi di cat. D”? Ma nel caso del professore Napoli l’Ateneo ha agito in modo diverso, escludendolo dal concorso senza porsi ulteriore domande”.
“E ci sorprende – aggiungono i rappresentanti sindacali – che il responsabile del procedimento, a cui la legge affida il delicato compito di accertare l’esistenza di presupposti di fatto e valutare i contrapposti interessi in gioco, abbia reso possibile siffatta disparità di trattamento. Forse che qualcuno ha condizionato il suo operato? Se così fosse, sarebbe grave constatare che il responsabile del procedimento abbia rinunciato ad una sua fondamentale prerogativa, ossia la totale indipendenza in sede di gestione dell’iter procedurale, conseguenza del fatto che la legge ascrive direttamente proprio in capo a lui ogni responsabilità. È evidente che all’Università di Palermo qualcuno ha dimenticato l’art. 97 della Costituzione italiana, che menziona esplicitamente il principio di imparzialità come principio fondamentale che deve guidare i pubblici uffici nell’esercizio delle proprie funzioni. La lettura combinata degli articoli 3 e 97 della Costituzione italiana impone, dunque, alla Pubblica Amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni forma di favoritismo e arbitrio nella gestione della cosa pubblica”.
“Perché, invece, all’Università di Palermo non si riesce a rispettare il dettato costituzionale e, di conseguenza, adottare una linea unica, da applicare a tutti allo stesso modo, come dovrebbe avvenire in una sana Pubblica Amministrazione? Probabilmente la legge è interpretata in base alle circostanze e, soprattutto, l’azione amministrativa, lungi da ogni principio di completa imparzialità, viene attuata attraverso una molteplicità di pesi e misure a seconda dei soggetti interessati. Purtroppo il caso sopra richiamato non rappresenta un unicum ma, al contrario, nella storia recente dell’Università di Palermo, più volte si è assistito ad un’interpretazione distorta e parziale della normativa vigente. Ad esempio, è stata stabilita l’incompatibilità tra l’essere rappresentante della RSU ovvero dirigente sindacale e l’essere componente del nuovo organo collegiale Consulta del Personale TAB e CEL, senza, tuttavia che vi sia una norma che preveda tale incompatibilità. Di contro, il Rettore non ha ritenuto incompatibile il suo incarico con la candidatura, nel 2017, a neanche 18 mesi dal suo insediamento, a Presidente della Regione Siciliana, nonostante lo Statuto sancisca inderogabilmente l’indipendenza dell’Ateneo da ogni orientamento politico. E, cosa ancor più grave, discutibile dal punto di vista etico-politico, il fatto che dopo la sconfitta, sia tornato ad occupare la poltrona di Rettore. Per non parlare di alcune nomine effettuate fin dal primo giorno dal suo insediamento e di alcune situazioni attualmente in essere e sotto gli occhi di tutti, nelle quali – forse – si potrebbe annidare il delitto di abuso d’ufficio”.
“Com’è possibile – si domandano Snals e Cisl – che nessuno in Ateneo abbia finora posto sotto la lente le decisioni della governance, al fine di verificarne la piena legittimità, a tutela dell’istituzione? Come mai, in alcuni casi, ci si pone (troppe) domande, in altri, invece, non si è sfiorati dal minimo dubbio? (Il silenzio è complicità…). Sembra proprio che, negli ultimi anni, l’Università di Palermo stia sempre più diventando una zona franca in cui viene meno ogni ragionevole certezza del diritto, sostituita da un pericoloso scenario in cui il riconoscimento di una legittima prerogativa (quale, ad esempio, la possibilità di partecipare ad un concorso, l’ottenere un incarico o un trasferimento, il ricevere una equa valutazione della performance, la possibilità di ricevere l’esonero dall’attività assistenziale per dedicarsi ad attività didattiche e scientifiche, ecc.) poggia anche, in maniera decisiva e determinante, sul livello di gradimento del soggetto interessato presso la governance. Alla luce di quanto sopra esposto ed in considerazione dei forti dubbi sulla legittimità dell’operato dell’Ateneo in relazione alla partecipazione di un componente del CdA, rappresentante del personale TAB, ad un concorso di categoria D, si invitano tutti i destinatari in indirizzo ad intervenire, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, affinché in via di autotutela l’Ateneo applichi la normativa (cd. Legge Gelmini), che proprio sulla base della già applicata interpretazione da parte di codesta Amministrazione, impedisce la partecipazione ai concorsi ai componenti del CdA”.