Il ragazzo è uno studente che studia che si deve prendere una Laura, così scrivevano i fratelli Capponi, ma loro credevano nel titolo di studio e nella serietà del percorso che l’adorato nipote stava portando avanti.
Carissimi, oggi il titolo di studio vale quanto un gratta e vinci già grattato.
E non perché non serva più studiare, o perché nelle università non ci siano ancora professori seri, di quelli che quando parlano ti mettono quasi soggezione.
No.
È che nel frattempo il sistema dell’istruzione si è allargato come una maglia di lana lavata male: un po’ di privato di qua, telematico di là, lezioni registrate, esami online, corsi triennali, biennali, quadrimestrali… insomma: un’autostrada a quattro corsie per prendere lo stesso titolo con modalità che sembrano la ruota della fortuna.
Ma illudersi che un surrogato valga quanto l’originale è cosa da principianti. La borsa taroccata, al mercato, magari inganna il turista distratto. Ma chi cerca la qualità, quella vera, sa distinguere la pelle dalla plastica.
E così è per le lauree “facilitate”: potranno pure chiamarsi allo stesso modo, ma non avranno mai — concedetemelo — lo stesso peso di una laurea sudata, vissuta in aula, fatta di esami in faccia ai professori e non allo schermo del computer.
Perché la formazione, amici miei, ha i suoi tempi naturali: si nasce, si cresce, si studia, si sbaglia, si ripete l’esame… e poi, se ci si arriva, si diventa professionisti seri. Non è che uno dopo il turno in ufficio, stanco come un mulo, si può trasformare magicamente in studente modello.
E non parliamo poi di chi — e succede più spesso di quanto crediate — studia all’orario di lavoro.
Pagato per lavorare, e invece “si forma”. Un capolavoro all’italiana: danno doppio, resa zero.
E così spuntano master improbabili, corsi fatti di notte, lauree telematiche con esami “aperti libro” e altre amenità.
Titoli che sembrano la copia cinese dell’originale: l’estetica c’è, la sostanza no. Peccato che oggi pretendano pure la stessa dignità.
Con il risultato che sforniamo montagne di curriculum farlocchi che hanno seppellito la meritocrazia sotto un cumulo di pdf.
Ora, se uno vuole davvero qualità, fa quello che hanno sempre fatto le persone serie: cerca le migliori istituzioni, investe su sé stesso, allarga gli orizzonti. Ma se parliamo della classe dirigente nostrana… eh, lì cambia il gioco.
Non contano i libri, ma il “santo in paradiso“.
E quando il santo è bravo, arrivano pure le scorciatoie: titoli improvvisati, master che sembrano la sorpresa dell’uovo di Pasqua, lauree “aggiustate” come le carrozzerie dopo un tamponamento.
Poi ci chiediamo perché i giovani migliori se ne vanno. Perché scappano.
Perché prendono la valigia e vanno a cercare un posto dove il merito non è una parolaccia.
È semplice: non hanno voglia di competere con chi ha costruito carriere di cartone grazie a deroghe, sanatorie, norme temporanee e percorsi paralleli aperti apposta per far passare chi non avrebbe mai superato un percorso vero.
Nella mia professione lo vedo tutti i giorni. Un ingegnere impreparato può fare danni seri. Molto seri.
Per questo chi non è capace fa sempre la stessa mossa: cercare il ruolo che fa scena, ma che non comporta responsabilità.
La prima linea la lasciamo agli ingenui.
E penso ai medici laureati in piena deroga Covid, senza abilitazione e mandati subito sul campo, per motivi straordinari (ne siamo consapevoli), potendo scegliere, c’è da augurarsi di non finire mai sotto i loro ferri, perché una cosa è una norma temporanea, un’altra è la vita di una persona.
Pensavate che il nepotismo fosse il peggiore dei mali?
No, amici: almeno il nepotismo aveva una sua logica arcaica, quasi antropologica. Oggi invece ci siamo superati: abbiamo inventato il talento artificiale certificato da titoli veri… ma ottenuti per vie che definire laterali è un complimento.
Lo so, lo so: quello che sto dicendo farà storcere il naso a chi difende queste “conquiste”, che più che ascensori sociali sono montacarichi di servizio installati nei palazzi del potere.
Ma io, che sono all’antica, formato all’antica, con i tempi e le tappe giuste, preferisco dirlo con schiettezza:
esiste un’età per tutto. Anche e soprattutto per studiare.
Un abbraccio.
Che vi arrivi intero, senza scorciatoie, Epruno




