“Come spesso purtroppo avviene, la recente proposta riguardante i beni culturali custoditi nel depositi siciliani, con l’emanazione della Carta di Catania e di due appositi decreti assessoriali, è diventata una battaglia ideologica, da leoni da tastiera, da infuocate contrapposizioni, vanificando così invece l’occasione – finalmente – di affrontare una spinosa questione, e un più vasto problema che può, se opportunamente inquadrato e ragionato, diventare invece una formidabile risorsa per la collettività”. Così commenta quella che è stata ribattezzata “l’archeologic querelle”, l’arch. Vera Greco, già direttore del Parco Archeologico di Naxos Taormina, direttore del Museo della Ceramica di Caltagirone e del Museo Bellomo e soprintendente ai Beni Culturali di Ragusa e di Catania.
La recente adozione della Carta di Catania ha suscitato, infatti, un ampio dibattito sui contenuti dell’iniziativa ma soprattutto sulle prospettive e le opportunità per la valorizzazione dei tanti reperti storici della Sicilia che in molti casi sono rimasti sin qui chiusi nei depositi e negli scantinati. E dall’arch. Greco arriva l’input a puntare con determinazione sui “tesori” dell’isola, che potrebbero rappresentare il cuore pulsante della ripartenza post-emergenza.
“Abbiamo assistito – spiega l’arch. Greco – ad autorevoli interventi, ma anche agli sterili ed ideologici battibecchi, le provocazioni da parte di chi magari si professa paladino di una visione purissima, e poi invece quando tocca a lui non solo disconosce i principi base ed elementari, ma addirittura li aggira, non senza una punta di arroganza, non fanno altro che portarci in un’arena dove non c’è nessun toro e nessun torero, ma si rischia ugualmente di far morire dissanguate le idee migliori. E paragonare la situazione siciliana con le esperienze europee, se da un lato ci indica le buone pratiche già messe in atto cui bisogna riferirsi, dall’altro, rischia di farci perdere di vista la realtà che non è paragonabile a nessuna altra, proprio per la specificità di quest’Isola, e che quindi va affrontata con adeguati strumenti e argomenti”.
“La Sicilia è forse la regione più ricca al mondo di reperti archeologici e di beni culturali. Ma proprio per questo, per le complesse vicende che hanno determinato la costituzione di questa enorme risorsa, per motivi logistici e di spazio, nonché gestionali, solo una piccolissima parte dei reperti di proprietà della Regione Siciliana è esposta al pubblico, e quindi valorizzata per la fruizione nei musei e negli antiquarium, ed è essa che, assieme alle aree archeologiche ed ai monumenti genera quell’enorme valore aggiunto che fa della Sicilia uno dei siti di maggiore interesse sotto il profilo del turismo culturale. Il restante immenso patrimonio è dunque custodito in centinaia di depositi: nei magazzini sono stipati centinaia di migliaia di pezzi, anche di pregio, che non vedranno mai la luce: opere d’arte e di valore, come testimoniano le cifre pagate per le assicurazioni quando essi sono trasferiti per una mostra temporanea, o prestati, ma che non riescono a generare altrettanto valore culturale prima ancora che economico”.
“Ma, come si legge nelle premesse della Carta di Catania, “non può dirsi che la situazione sia molto cambiata dagli ormai lontani anni ’70, e il quadro che ci appare dei depositi regionali che contengono beni culturali è ancora quello di una massa indistinta e in gran parte sfuggita a un reale controllo della Pubblica Amministrazione, e alle stesse finalità di tutela e valorizzazione trasferite alla Sicilia con l’autonomia. Cominciamo da qui. E’ un’affermazione che desta preoccupazione, ma al contempo denuncia il coraggio di farla, e, comunque, tacere non significa risolvere il problema. Siamo qui invece per affrontarlo. E, se è vero che la Regione Siciliana si avvale di qualificato personale catalogatore tramite una società in house, è altrettanto vero che, come si legge nelle premesse della citata Carta, ancora siamo ben lontani dall’ordinamento sistematico dei milioni di pezzi che si affastellano dei veri depositi, sparsi per la Sicilia. Immagino che i motivi siano ben conosciuti da chi ha retto le posizioni di vertice, amministrativo, tecnico e politico, e certamente non sta a me affrontare quest’aspetto. Quindi, ignorare il problema o trasferirsi illusoriamente su altre realtà, invocando modelli e prassi che al momento non sono realisticamente applicabili, non giova e non lo risolve, mantenendo una situazione di impasse, più o meno consapevole, nella quale si resta imprigionati mentalmente, prima ancora che fisicamente”.
“Se parliamo di beni culturali, sappiamo bene quanto la conoscenza e la consapevolezza, sia il motore primario per la tutela degli stessi e quindi per la loro valorizzazione: proprio la mancanza di questi due ingredienti fondamentali ha fatto sì che immensi tesori venissero trafugati dai tombaroli per essere rivenduti a prezzi stracciati, non corrispondenti certo al valore cui sono stati successivamente rivenduti, passando di mano in mano. Solo per fare un esempio, gli argenti di Eupolemos e la Phiale di Caltavuturo: e chissà quali incommensurabili tesori che adesso fanno bella mostra di sé in musei pubblici o in collezioni private. Allora se le statistiche culturali dell’ISTA ci danno per il 2019 un valore allarmante del 77% relativo ai siciliani che non entrano in un museo, possiamo ben comprendere come tutto quello che ne deriva, e cioè che la maggior parte della gente non ha proprio l’idea di quanto preziosa sia la terra in cui ha la fortuna di abitare, del valore dei propri beni e delle proprie risorse che ci siamo ritrovati, d’amblè, primo tra tutti il paesaggio, così vilipeso, brutalizzato, calpestato, accerchiato, quando esso, proprio perché contiene tutti i beni, ne è il più grande e il principale”.
“Allora, continuiamo a strapparci le vesti se invece è il museo con le sue testimonianze materiche che va dagli abitanti? Se il museo, grazie ai suoi reperti, che sono la chiave per comprendere la nostra storia, e quindi per ritrovare quel sano orgoglio di cui l’identità si nutre ed è fiera, apre le porte dei suoi scrigni preziosi e, grazie ad un progetto lungimirante inizia un’azione didattica meritoria e necessaria? Certamente no, anche se è giusto porre critiche costruttive ad un provvedimento che, proprio perché pioniere, e sperimentale, può aver bisogno di aggiustamenti e di messa a fuoco maggiore con integrazioni e migliori specifiche. In questo senso, non può farci gridare allo scandalo, il fatto che gli studenti universitari in materie concernenti i Beni Culturali possano essere “impiegati” per una schedatura, inventariazione e sistematizzazione di quella parte di reperti che ancora giacciono immobili e negletti negli oscuri depositi. In primo luogo perchè la pratica laboratoriale è una prassi diffusa dappertutto, forse che gli specializzandi di medicina non operano insieme al primario e agli aiuti? E gli avvocati non devono far pratica biennale presso uno studio? E così per tutte le arti e per tutte le professioni! Ovviamente è necessario che ci siano i primari, che in questo caso sono i dirigenti e i funzionari dell’Assessorato Beni Culturali, gli assistenti, che sono i tutor, e gli specializzandi”.
“Questo progetto vuole generare un circuito virtuoso: portare alla luce i reperti siciliani grazie ad un allestimento professionale e di qualità, che utilizzando stilemi e forme di comunicazione contemporanea, possa “catturare” il visitatore, trasportandolo nell’affascinante storia del suo territorio, con funzioni didattiche ed educative non comuni, stimolandone il fruitore, che sarà verosimilmente incuriosito e incoraggiato a visitare questi posti dalla storia e dal paesaggio straordinario. L’apparato espositivo e l’allestimento è fondamentale per attirare l’attenzione del fruitore: non si può più continuare a riproporre i soliti obsoleti allestimenti con vetrine e pannelli didattici, modelli ottocenteschi anche se conditi in salsa moderno-contemporanea quanto a luci, grafica e materiali utilizzati. La moderna museografia, sperimentata con successo nei migliori musei di tutto il mondo, invece fa riferimento ad un nuovo modo di concepire il Museo attraverso gli oggetti che, invece di essere “muti” e separati dall’utente, ristabiliscono una connessione con esso, attraverso il racconto e la storia degli uomini e delle donne che è dietro e dentro di essi. “Storytelling” viene chiamato, ed è una vera e propria “New Vision”, tesa a sperimentare un modo di intrattenimento culturale col pubblico, molto più diretto ed appassionante di quanto potessero finora aver fatto i consueti sistemi, vetrina-pannello, oramai obsoleti, grazie ad un linguaggio mutuato dall’arte contemporanea”.
“L’occasione è propizia per poter finalmente valorizzare i giovani professionisti che molto spesso non possono estrinsecare il loro talento nella loro terra, ma sono costretti ad emigrare, arricchendo altri contesti e impoverendo così di intelligenze e di cultura la Sicilia. Anche per questo basilare aspetto, la proposta potrebbe fungere da detonatore per costruire possibilità qualificate per i giovani architetti con formazione museografica, allievi accademia d’arte, e scenografia, ecc., magari attraverso i concorsi di idee che da sempre garantiscono i migliori risultati qualitativi, e nel contempo aprono prospettive di lavoro ad una segmento qualificato che troppo spesso è costretto a cercare lavoro al di fuori della Sicilia, grazie appunto all’intervento dei privati, più fluido certamente delle ingessate maglie burocratiche, e che faciliterebbe il ricorso a dei concorsi di idee, o a delle collaborazioni con i dipartimenti universitari di ricerca.
“Il percorso virtuoso quindi può strutturarsi con due azioni parallele: la prima, quella di attingere dai registri inventariali già esistenti e compilati, per l’avvio immediato del progetto, e la seconda quella di sistematizzazione globale di tutti i reperti non ancora inventariati e catalogati, che, proprio grazie all’avvio della prima, secondo quanto recita l’art. 6 del D.A 78/Gab del 30/11/2020, può utilizzare il corrispettivo per il prestito, nella “ fornitura di beni, servizi, infrastrutture o migliorie in favore del deposito di provenienza degli stessi beni”.