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Viaggio a Ballarò di Letizia Cucciarelli Migliorini, viaggiatrice del mondo per professione

venerdì 15 Settembre 2023
Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Palermo, eh già, non per replicare una strofa musicale di Vasco Rossi all’inizio dei suoi concerti ma, questa città mi ha veramente rapito, inglobato nel suo territorio. Un alveo ampio e ricco di immagini antiche, inondato da distese di agrumi che resistono da secoli, rinnovando le memorie di popoli vissuti in epoche nelle quali le civiltà si esaltavano con la differenza delle origini e dove l’eleganza e l’intelligenza si leggevano pronunciando un unico suono: “Palermo” . Ecco il senso, il titolo del concerto: Palermo eh, già.

Qui ritrovo i miei archetipi, tutti richiamati ed esaltati. Palermo in fondo è la Sicilia, anche se l’Etna troneggia da lontano e i suoi respiri profondi si odono ovunque e così le Eolie giungono a danzare davanti alle Egadi, come sorelle in visita di cortesia e i templi si stagliano come visioni spostandosi a loro piacimento, muovendosi sorvolando le Madonie, fino ai golfi che al tramonto rispecchiano le ombre degli avi, e dove le grida degli attori nei teatri risuonano ancora con le loro maschere ambigue e terrificanti.

Arrivata Palermo in pieno agosto 2020, il covid imperversava ma, la prima sensazione fu quella di sentirmi al sicuro, il caldo era stemperato da un’aria leggera che staccava la città dal monte Cofano e la sollevava impercettibilmente dal resto del mondo, intoccabile da ogni nefandezza e pestilenzia: “Qui sto bene” pensai, passeggiando per il corso e osservando i palermitani eleganti e taciturni, sorridenti e sornioni nel mese più caldo dell’anno. D’altronde un’iguana gigante come lei con gli occhi semichiusi, come ho già scritto, non vuole essere disturbata e gli accenti estesi e gracidi del dialetto ormai sono come una ninna nanna, la cantilena del dialetto, per me, un pentagramma di suoni vivaci la cui traduzione si cela ai turisti pur lasciandoli passeggiare indisturbati.

Tutto questo funziona perfettamente, fino a quando camminando sulle spalle squamose del rettile sonnolento non arrivo ad incrociare lo sguardo con murales giganti, figure improbabili su palazzi sdruciti e all’improvviso abbasso gli occhi e vengo colpita da voci e grida potenti, provenienti da bocche spalancate di venditori corpulenti, con copricapi arabeggianti ed abbigliati in fogge divertenti e desuete vicino a bancarelle che spuntano all’improvviso, ecco Ballarò.

Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Mi trovo a galleggiare sul pianeta del cibo, un trionfo di suoni colori e profumi che non mi fa più nemmeno intravvedere i miei piedi; la calca mi trascina in un vortice dove le persone sono tutte incantate, come stordite dal richiamo dei venditori, il cosiddetto “abbaniare”, (antica tecnica vocale di vendita dotata di enfasi e ritmo finalizzati ad attirare l’attenzione della gente). Una quantità di cibi e primizie coloratissime tanto da sembrare finte, per poi continuare a stupirmi, in un secondo momento, per le loro dimensioni, una sorta di delirio travolgente che colpisce tutti i sensi fino alle papille gustative.

Trascorsi pochi secondi la bolgia si infittisce, i banchetti strabordano anche di cibarie cotte, panelle, sfincionelli, frittole, polpette e quella strana cosa con le interiora. Avrei voluto assaggiare tutto, era anche l’ora di pranzo, il chiasso assordante dei venditori svaniva solo quando posavo lo sguardo su frutti enormi, bellissimi e sgargianti all’ombra di quei teli da souk, “Souk-al-Balari” da cui deriva il nome Ballarò.

Sì, mi trovavo sopra un’enorme Giostra del cibo, con la “g” maiuscola per scherzare con l’amico Andrea, un luogo incantato nel quale tutto girava come in un turbine e che invece di salire sugli animali decorati di stucchi e briglie dorate, era il cibo che ti possedeva ammaliando ogni passante,  incoraggiato a compiere il rito dell’apertura della bocca.

Comprendo, divertita di far parte di un grande show, e comincio a pensare che avrei dovuto scegliere di farmi sedurre da questi cantori del cibo, quando all’improvviso mi ritrovo in un altro girone assordante dove mi compaiono davanti piovre giganti appese ai banchetti che trasudavano brandelli già pronti per essere divorati dagli avventori.

Fermo il racconto e torno ai ricordi degli ultimi giorni nei quali pensavo di scrivere su Ballarò fin tanto che non mi arrivasse la giusta ispirazione letteraria, la chiave di lettura di questa esperienza che, fra l’onirico il giocoso ed il pantagruelico mi aveva condotto a lui, sì a Jules Verne e la piovra enorme dai tentacoli immanentemente lunghi, la mia fantasia mi aveva richiamato ai luoghi immaginari di mari profondi di palloni che giravano per cieli di mondi ancora inesplorati per quei tempi.

Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Giulio Verne, chi meglio di lui avrebbe potuto condurmi in questo viaggio, lui che da bambino partì per le Indie alla ricerca di coralli da regalare alla sua innamorata?

Jules Vernes è Giulio Verne per noi italiani, solo lui poteva esprimere il grande gioco di Ballarò in un’immagine efficace ed evocativa delle sensazioni che erano rimaste indelebilmente a giacere in un angolo della memoria, pronte ad iniziare una danza, incollate alle ventose per rimanere poi intrappolate nelle volute dell’enorme mollusco. Rammento quel libro dalla copertina bianca e rigida con la fascia azzurra, le immagini in bianco e nero, le favole e quelle straordinarie sensazioni infantili che adesso Palermo mi fa evolvere in una nuova versione e penso che a Breton sarebbe piaciuta questa immagine, potrei cimentarmi nel disegnarla, sarebbe un’altra sfida.

All’improvviso la giostra si scuote, un terremoto penso, o un sussulto improvviso dell’iguana, o forse “iddu”, il vulcano, si stava risvegliando sbadigliando al mezzodì. Tutto scompare e mi ritrovo in una piccola piazza triangolare con una deliziosa libreria colorata con qualche libro appoggiato forse a caso e una scrivania, mi domando se fossero stati vecchi  mobili di design abbandonati o uno studio all’aperto, un set cinematografico dentro Ballarò, niente male come idea, mentre il tremore prosegue guardo in alto sopra la libreria  l’immagine enorme di un elegante signore si stacca all’improvviso, sembra capitolarmi addosso poi  rimpicciolirsi prendendo sembianze reali, umane e mentre atterra mi viene incontro apostrofandomi con dolcezza in un leggero accento francese, mi prende per mano e mi trascina su una carrozzella che era comparsa proprio in quel momento,  alla guida  un destriero addobbato e decorato anche lui con motivi tipici, briglie con ciuffi e ciondoli vari.

Ballarò scompare rimpicciolendosi ed il cavallo ci trascina in un turbine di vento, fogli di giornale che si colorano a spruzzo con frammenti di cibo e frutta e la mano dell’uomo-murale che mi teneva sempre più stretta.

Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Il vortice diventava scuro, ad un tratto sino al buio assoluto, il rumore sordo svanisce e ci troviamo dentro ad un freddo e silenzioso tunnel con la carrozzella lanciata ad una velocità supersonica, non riesco nemmeno a pensare che già il cielo si illumina, il caldo mi avvolge e la carrozzella atterra in un meraviglioso giardino dove la statua di un baffuto ed elegante signore, di un marmo annerito dal guano dei volatili, cattura la mia attenzione. Posati i piedi per terra con un salto, mi sciolgo dalla stretta e fuggo nel giardino sino ai primi alberi dalle fronde enormi, per nascondermi all’ombra dietro un muretto ricoperto da rose rampicanti e mi domando affannata: “ma dove sono e dov’è Giostra?”. Provo a tranquillizzarmi, accovacciata sulla ghiaia mi sento ancora stordita, Ballarò, le piovre giganti, la carrozzella con il cavallo teletrasportante e la mia guida misteriosa, uno scherzo della mia mente o Palermo si stava divertendo a svelarmi i suoi giochi fantastici? Decido di rialzarmi e barcollando mi avvicino lentamente alla statua annerita, sotto la base una targa austera riporta una scritta: Giuseppe Pitrè. “Tutto sommato assomiglia al giardino” di Rodin, pensai, “chissà dov’è finito l’uomo murale dalla erre moscia?” In alto il cielo di un mezzogiorno sfuocato, quasi annoiato, arresosi ormai da secoli al micidiale scirocco che lo attraversava.

“Qui centra Giostra, sicuramente è uno dei suoi trucchi, sono stata nel parco dei divertimenti del cibo e non ho neppure mangiato, né bevuto ed ora la sete mi assale”. In un giardino così antico dev’esserci per forza una fontana e come d’incanto si apre una piccola radura con una splendida erinne marmorea con ampie e conturbanti volute dalle cui labbra sgorgavano i vivacemente molteplici zampilli di acqua freddissima”.

Mi avvicino con passo veloce, il rumore della fontana e quello dei miei sandali sulla ghiaia polverosa e finalmente una sensazione vera, toccare l’acqua con la tentazione di buttarmi tutta vestita nella fontana, “forse mi risveglierò del tutto”, penso.

Lo scirocco mi aveva dato il colpo di grazia, malgrado l’ausilio dell’erinne mi sentivo ancora confusa e debilitata, frastornata da tutti questi dubbi e domande senza risposta, cercando l’ombra, m’incammino per un vialetto costeggiato da verdissime siepi che celavano altri scenari topiari su gazebi, griglie e pergolati arredati da voluminose sedute in stile, quando un brusio di voci maschili con accenti incomprensibili richiama la mia attenzione.

Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Prudenza, mi dico, e in punta di piedi mi avvicino al pergolato di dipladenie fiorite di bianco e rosa, di passiflore grondanti dei loro frutti penduli. Sbircio fra i rametti ed i gambi allungati cercando di non rimanere invischiata dalle esili foglie incollate di umori che trasudavano dai frutti maturi ed intravvedo tre figure di uomini seduti pacatamente che conversavano amichevolmente godendosi l’ombra, i loro volti quasi algidi malgrado la calura, con le loro giacche scure morbidamente appoggiate agli schienali. Inforco gli occhiali e la visione si sgrana diventando nitida: “sì quello è il signore della statua, quindi sono nel suo giardino ed anche lui è qui ma quello di profilo è il signore del murale che adesso parla in francese, no, forse non è francese”, al suo fianco di schiena intravvedo l’altro che ha un’aria familiare ed anche il suo accento veneto e quelle sue spalle scese uguali a quelle di mio nonno, mi alzo di scatto giro attorno al pergolato: “quelli parlano esperanto, ho capito tutto, l’uomo murale lo riconosco adesso è quello che mi ha ispirato con i suoi viaggi incredibili è Giulio Verne e quello al suo fianco è lo zio Bruno, sì il Professor Bruno Migliorini”.

Un tuffo al cuore, finalmente sono tornata alla realtà, mi presento al Dottor Pitrè e mi complimento per la splendida magione, poi un po’ contrariata, in piedi, davanti all’uomo murale ed allo zio Bruno soggiungo: “mi avete fatto uno scherzo, eh già, magari complice anche Giostra non è vero?”. 

Nel meriggio dopo una gustosa granita al limone con brioche mi assopisco con il suono delle voci dei tre barbuti accademici ed esperantisti, un gazebo letterario che Palermo mi stava svelando, un parterre linguistico ovviamente con protagonista Andrea Giostra; “arriverà a breve, perché stanno parlando proprio di lui”. 

Fingendomi addormentata, accovacciata nell’enorme poltrona mi soffermo cercando di tradurre la conversazione, incredibile, penso, Palermo mi ha fatto un’altra sorpresa tre letterati, linguisti, glottologi scrittori riuniti solo per lui e per quelle novelle di Sicilia nate per scherzo tra il 2008 e il 2010 scritte su un vecchio Nokia e divulgate da Andrea ai suoi amici con gli MMS di allora, chi l’avrebbe detto.

Fingo di rimanere ad occhi chiusi, intuendo che la disamina sul caso Giostra stava entrando nel vivo. – “È contemporaneo, sicuramente un fenomeno linguistico e letterario da analizzare”, soggiunge il professor Bruno Migliorini “e la lingua siciliana s’inserisce nella catalogazione riconosciuta tra quelle di matrice indo-europea con la variante del palermitano”.-

In lontananza una canzone che conoscevo: “voglio vederti ballare…gira attorno alla stanza”, scusami tanto Franco ma, ne ho avute abbastanza di danze su iguana con tentacoli di piovre appiccicaticce…

Sentiamo Verne cos’ha da commentare: “la grammatica di Giostra mi sembra perfetta, quello che trovo interessante è la fonetica, questi dittonghi accentati sulla prima sillaba caratteristici dei palermitani aggiungono un’enfasi caratterizzante ai suoi scritti”. Bruno Migliorini interviene manifestando un tono di coinvolgimento e soggiunge: “Uno psicologo, un’umanista questo Giostra, certo la creazione di un  nuovo stile tipico siciliano potrebbe spiegare questo fenomeno in parte già introdotto da Camilleri”. Interviene Pitrè spiegando che Giostra ha utilizzato molti riferimenti ai suoi studi etnografici e sociologici: “la tradizione siciliana analizzata nei mei studi evidenzia stilemi sia folkloristici che antropologici che si influenzano costantemente mantenendosi vivi anche attraverso il linguaggio e gli scritti di Giostra lo testimoniano pienamente ed efficacemente. Il suo stile è raffigurabile in impronta, un’orma i cui contorni sono il profilo della Sicilia nel XXI secolo che simboleggia la vitalità dei suoi costumi, dalla gestualità e delle abitudini dei suoi abitanti che rimangono contraddistinte da secoli”.

Interviene il professor Migliorini interrompendo gentilmente l’altro accademico siciliano:- “Questo riferimento all’eros che apparentemente sembrerebbe significativo di un’ espressione tradizionale tipica viene coniugato da Giostra con il thanatos  racchiusi  nel mito di Orfeo che potrebbe collocarsi proprio qui in Sicilia; questi elementi, eros e thanatos, sortiscono inoltre nel lettore un effetto di traduzione della “lingua” in “linguaggio”, inteso come metodo di comunicazione, il nostro scrittore utilizza questi richiami  mitologici o archetipici esaltando la loro potenza in chiave assolutamente moderna in fondo è la vera essenza del purismo che Giostra forse inconsapevolmente esalta rafforzando le radici linguistiche dei siculi.”

Il Mercato di Ballarò di Palermo_Ph. Mapi Rizzo

Giuseppe Pitrè prosegue sottolineando che i termini in palermitano hanno una cadenza misurata e significativa dell’ambiente siculo nel quale si svolgono i suoi racconti tanto da assumere un valore ed un’espressione del tipico “milieu” culturale di una Palermo che permane costantemente nella sua naturale teatralità.

Jules Verne, un po’ distratto, solleva la testa e guarda Pitrè richiamato dal termine francese, milieu. Pitrè lo guarda e cercando di carpire nuovamente la sua attenzione prosegue rivolgendosi a lui: – “la lingua siciliana è particolarmente ricca di termini che riuniscono in un uno, più concetti che rafforzano il significato della frase e Giostra si destreggia brillantemente in questo esercizio.”

A quel punto lo zio Bruno interviene nuovamente dando sfoggio della propria erudizione: – “la metrica fluida e priva di afflati si evidenzia come una specifica nota personale di Giostra, in quanto la lingua siciliana è dotata di un repertorio lessicale originario dal latino parlato nell’isola”.- Pitrè non riesce a trattenersi infervorito dalla materia nella quale si sentiva direttamente coinvolto spiega le ragioni: – “è tutto in virtù della morfologia, le forme assunte dalle parole, quelle  in italiano intendo, svolgono significati diversi, se aggregate a quelle in siciliano, danno vita a nuove parti del discorso.”

La questione Giostra sta diventando quasi un simposio, anche abbastanza lungo e impegnativo e lui non è ancora arrivato, “si sarà perso per le bancarelle del cibo in quel carnaio di Ballarò”– pensai. In lontananza sempre l’amato Battiato con i suoi ritmi che elevano l’importanza della cultura siciliana in ogni disciplina, fatto che un po’ tutti invidiano, anche Giostra tempo addietro lamentava la frequente usurpazione dell’appartenenza da parte di alcuni sedicenti scrittori che con la Trinacria non avevano nulla a che fare, in quanto, scrivere in siciliano, fa “tendenza”.

Proprio sul pezzo interviene Jules, anche lui barbuto ma con un taglio più alla francese, impettito si accomoda la camicia bianca in modo lezioso, sottolineando la similitudine fra i francesi e gli italiani, fra i quali spiccano i siciliani che inducono a stili innovativi che spesso diventano vere mode a livello anche internazionale, de toutes facons, dalla gastronomia all’abbigliamento.

Il discorso si è un po’ alleggerito ed i tre accademici barbuti sembrano convergere silenziosamente per una pausa – “magari questi geni sono in un collegamento anche telepatico” – penso, osservando che si stavano sincronicamente lisciando la barba sui loro colti menti, riordinandone i ciuffi che esprimevano, coerentemente, una foggia anch’essa accademica.

Mi alzo di scatto simulando un repentino risveglio, loro educatamente fingono di non accorgersi dei miei abiti sgualciti, dei capelli disordinati più del solito e delle mie gambe impolverate. Spalanco gli occhi e sorridendo interrompo il prolungato silenzio

nel quale si udivano ogni tanto i corvi il cui verso veniva smorzato dal terribile scirocco e propongo all’erudito consesso: – “E se andassimo tutti insieme a fare un giro su quell’astronave camuffata da carretto siciliano con quel cavallo che cela fra i suoi pennacchi sgargianti chissà quali pulsanti e cloche per il teletrasporto? C’è un ristorantino a Terrasini che si chiama ‘il Bavaglino’ dove va sempre Giostra, magari lo incontriamo lì con il suo amico chef Giuseppe Costa…”-

Letizia Cucciarelli Migliorini

Letizia Cucciarelli e Vittorio Sgarbi

… %continua…

 

Alica, 1° settembre 2023

 

Chi è Letizia Cucciarelli Migliorini? … è amante della Sicilia, viaggiatrice, sperimentatrice, artista, scultore, pittrice, e… si è raccontata a IlSicilia.it:

L’artista sperimentatrice Letizia Cucciarelli si racconta e ci racconta la sua arte | INTERVISTA

Le foto dell’articolo sono di Mapi Rizzo.

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