Blasfemo, esoterico e trash, l’artista palermitano Vincenzo Profeta fa parlare di sé con il romanzo “La Palermo male“.
Fondatore del Laboratorio Saccardi, con Marco Leone Barone, Profeta ha sempre esposto con la pittura e la scultura una sferzante e irriverente critica nei confronti della società e del mondo dell’arte tra atmosfere oniricamente occulte, surreali e pop.
Con un horror sociale che per un’assurda inversione di significato diventa una lode mistica a Dio, ora, l’artista travalica tutti i limiti del buon gusto e della decenza.
L’INTERVISTA
Vincenzo perché ti sei dato alla scrittura e di cosa parla il tuo libro?
L’ho sempre fatto in passato tramite una rivista musicale e poi con i social. Il libro mi è venuto quasi naturale scriverlo.
Protagonista del libro è un “Io” paranoico, sofferente e complottista che si inabissa nel suo delirio tra evocazioni sataniche, droghe e convegni di terrapiattisti.
Perché la “Palermo male”?
La “Palermo male” è un titolo pop facile da ricordare. Con questo libro volevo confondere le idee e creare casino.
Su Palermo, negli ultimi anni, sono usciti solo libri turistici, pippe sociologiche sui nobili e sulla Palermo bene o di mafia. In questi trovo ridicolo quando si parla di una città borghese e perbenista riscattata dalla mafia. Una falsità enorme perché la mafia ha semplicemente vinto, non ha bisogno di uccidere nessuno, perché nessuno la combatte più.
Palermo ha mille facce e nel libro offro luoghi inquietanti che mostrano l’anima nera della vita. Sì perché la città ha una maledizione inscritta in uno dei suoi simboli, il Genio di Palermo, che è in copertina. “Alienus nutrit” ossia nutre gli stranieri e uccide i suoi figli. Da questo niente di buono può venirne fuori, infatti siamo gli ultimi in tutto, e proprio per quello è bellissima Palermo.
La grafica del libro
Il libro ha una scrittura per niente lineare ma schizoide e racconta un disagio cronico. Ho voluto così creare questa integrazione tra scrittura e simboli come per mandare messaggi subliminali. Questa cosa è stata interpretata magistralmente dai grafici di “Gog” con riferimenti digitali. Tra una pagina e l’altra infatti trovi riferimenti a passati sistemi operativi, videogiochi anni ’80, pop-up di social network, ma anche errori di codice.
Il risultato? Brutale, potente ed evocativo proprio come piace a me.