Roma ha le idee chiare e prevede l’istituzione della nuova Zona economica speciale per il Mezzogiorno a decorrere dal 1° gennaio 2024, che comprende le Regioni di Sicilia, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna.
Ma questa Zes unica di cui si parla, è un tentativo di accentramento romano del sistema – e quindi un ulteriore scippo alla Sicilia – o una opportunità concreta per rilanciare le aree industriali del Sud e dell’Isola?
Al di là dei potenziali rischi di un’immobilismo economico con lo stravolgimento delle due Zone della Sicilia, orientale e occidentale, il governo di Giorgia Meloni tira dritto, convinto che si tratti di un provvedimento di assoluto rilievo, che ci aiuterà nella semplificazione degli iter autorizzativi attraverso un’unica cabina di regia. La speranza è che dia buoni frutti per le imprese, soprattutto grazie a un collegamento diretto col territorio. Il testo introduce specifiche misure finalizzate alla crescita e al consolidamento economico delle aree del Sud Italia, con l’obiettivo di renderle più idonee per la crescita dimensionale del sistema produttivo.
Nell’attesa che il decreto diventi legge, il timore che i cantieri possano rallentare non è poi tanto un’utopia e che potrebbe vanificare il lavoro di anni e che mette a rischio le prospettive di sviluppo che tante imprese cominciavano a intravedere. E comunque, è prematuro dirlo. Ma sappiamo che la Conferenza unificata di ieri ha espresso il parere favorevole di Comuni, Province e Regioni al decreto-legge, tranne Campania, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia.
In coda al decreto ci sono, però, oltre 530 emendamenti di natura rilevante e molti dei quali, se venissero approvati, potrebbero introdurre delle variazioni significative al testo già redatto dal governo. Novità rilevanti al momento non ce ne sono e non ce ne saranno prima del 27 ottobre, data in cui è previsto il passaggio del testo alla Camera dei Deputati.
Tra gli emendamenti aggiuntivi e modificativi ci sono alcune proposte che mettono nuovamente in pista le articolazioni territoriali. Certo è che da Roma la lente di ingrandimento si ridimensiona, se pensiamo che l’attenzione è maggiore quando sul posto ci sono i commissari che invece seguono i lavori da vicino. Un rischio che verrebbe meno se gli emendamenti accolti dovessero essere quelli che prevedano il recupero delle articolazioni territoriali.
Tuttavia, dai piani alti della politica arriva la certezza che accentrare significa attrarre maggiori fonti di investimento e spendere i soldi in maniera unitaria, favorire l’insediamento di nuove imprese attraverso l’utilizzo di agevolazioni fiscali e la sburocratizzazione delle procedure. L’obiettivo strategico che spinge ad istituire una zona economica speciale in un territorio svantaggiato è quello di creare condizioni più favorevoli in termini economici, finanziari ed amministrativi. Poi, si rafforza la competitività non solo nello scenario internazionale, ma anche all’interno dello stesso territorio meridionale perché garantisce eguali possibilità di sviluppo e di slancio alle imprese già operanti in quelle zone o che vogliono insediarsi in un futuro prossimo.
Sarà davvero la volta di una politica industriale attiva? O si corre solo il rischio, che nessuno auspica, dell’ennesimo pantano?