Per la vostra Patti Holmes, oggi Patti Chef, 50 sfumature di grigio, rosso e nero sono roba da educande rispetto all’effetto libidinoso che provoca l’addentare un pezzo di sfincione, che sarebbe da mettere tra i cibi afrodisiaci per eccellenza perché, oltre al fatto di mangiarlo con le mani, pratica quasi trasgressiva in una società da forchetta e coltello, per digerirlo, spinge a dedicarsi all’Ars Amatoria, citando Ovidio, a qualsiasi ora del giorno venga consumato. Dopo queste digressioni erotico-culinarie, e prima di entrare nel mondo sfincionesco e, in particolar modo, nel Derby Palermo-Bagheria, ricerchiamone le origini.
Lo sfincione, sfinciuni o spinciuni in siciliano, è un prodotto tipico della gastronomia palermitana, a metà tra una pizza e una focaccia, inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.) del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MiPAAF). Il nome, al pari della sfincia di San Giuseppe, si fa derivare dal latino spongia e dal greco spòngos, σπόγγος, ossia “spugna”, oppure dall’arabo ﺍﺴﻔﻨﺞ isfanǧ col quale si indica una frittella di pasta addolcita con il miele.
Si tratta di una antica ricetta che vede come ingrediente principe il pane pizza, morbido e lievitato, simile appunto ad una spugna, con sopra una salsa a base di pomodoro, cipolla, acciughe, origano e caciocavallo a fette. Il segreto e la varietà dipendono dal condimento, che può avere un’infinita gamma di piccole sfumature, si ritorna alle 50 dell’inizio, che fanno la differenza.
Simbolo della cultura del “cibo da strada” palermitano, in un’epoca pre-panettone era il re del periodo natalizio o, meglio del periodo che andava dall’8 dicembre, festa dell’Immacolata al 6 di gennaio festa della Epifania, allora “i tri re”, passando per il Natale. Oggi è presente tutto l’anno e, nei pressi di porta Sant’Agata, lo troverete su motoveicoli a tre ruote, meglio conosciuti come “lapini“, storpiatura del nome “Ape Piaggio”, in cui i venditori ambulanti, che si spostano toccando vari punti della città, invitano ad assaporarlo gridando in dialetto palermitano: “Scairsu r’uagghiu e chin’i pruvulazzu” che, tradotto, vuol dire “scarso di olio e pieno di polvere”. Questa frase si lega alla qualità del cibo e, infatti, se lo sfincione fosse condito con una quantità d’olio superiore al necessario risulterebbe poco soffice, condizionandone il sapore; per quanto riguarda la “polvere”, invece, fa riferimento alla consistenza compatta del suo condimento. Altra frase, che fa venire l’acquolina in bocca e le caldane, è: “Chi cciàvuru! Càvuru, càvuru!”, “Che profumo! Caldo, caldo”.
Una variante a quello palermitano, la più apprezzata, è quella di Bagheria che, senza salsa di pomodoro, si presenta dolce, bianco, morbido, condito con ricotta, tuma, cipolla, acciughe e per questo chiamato “sfincione bianco”. La base dello sfincione è della normale pasta di pane che all’apice della lievitazione viene schiacciata in una forma rotonda od ovale; il condimento, le conse, è tipicamente a tre strati: il primo è costituito da una salsa di filetti di acciughe sciolte in olio tiepido; il secondo da uno strato di ricotta, tuma o primosale tagliato a fette e il terzo, infine, da uno strato di un impasto ottenuto con mollica fresca di pane triturata, condita con pecorino grattugiato, cipolla scalogna tagliata a rondelle, sale, pepe, origano, il tutto impastato con olio di oliva.
Si dice che la superiorità dello sfincione bagherese fosse di fatto riconosciuta anche dai “palermitani”, che gradivano molto, infatti, il dono di uno “sfincione della Bagheria”; inoltre donare uno sfincione era un modo per ringraziare per un favore ricevuto o per ingraziarsi qualcuno da cui si attendeva un piccolo beneficio. I Bagheresi, invece, forse per spirito di rivalsa nei confronti dei “cittadini”, per definire gli sfincioni di Palermo, usavano dire sprezzantemente: “scarsi di olio e ‘cchini di pruvulazzu”, frase che, come abbiamo visto, è stata recepita e trasformata in senso positivo dagli ambulanti panormiti; ma andiamo alle differenze e per farlo, eccovi le ricette.
Sfincione palermitano
Ingredienti per 4 persone
800 gr farina
25 gr lievito di birra
2 cipolle
500 gr pomodori pelati
100 gr pecorino
100 gr filetti di acciuga sott’olio
origano
olio extravergine d’oliva, sale, pepe, acqua q.b.
Preparazione
1) Mettete in una ciotola la farina. Aggiungete il cucchiaio di miele e sciogliete nell’acqua tiepida il lievito di birra. Versate nella ciotola.
2) Trasferitevi su un piano di lavoro infarinato e lavorate con le mani. Formate una palla liscia e mettete a lievitare in un recipiente per 3 ore coperto da un canovaccio. Preparate il sugo e tagliate le cipolle aiutandovi con un tagliere.
3) Mettete in un tegame la cipolla con l’olio, acciughe sott’olio, e aggiungete il sugo. A parte tagliate il caciocavallo a dadini. In una padella mettete il pangrattato con l’olio e il sale. Fate tostare.
4) Dopo le tre ore di lievitazione il panetto avrà raddoppiato il volume. Stendetelo sul piano lavoro con il mattarello. Preparate una teglia rivestita con carta forno e mettete l’olio.
5) Stendete lo sfincione sulla teglia, condite con dell’altro olio e coprite con il sugo. Mettete il formaggio tagliato a dadini in superficie.
6) Cospargete in superficie con il pangrattato tostato e origano, cuocete lo sfincione in forno preriscaldato a 220° per 40 minuti.
Sfincione bianco bagherese (dosi per 3 sfincioni di 28 cm di diametro)
8 Cipolla bianca
Olio extravergine d’oliva q.b.
400 gr Mollica fresca
150 gr Cacio cavallo grattuggiato
Origano q.b.
250 gr Tuma
400 gr Ricotta di pecora
20 Acciughe sott’olio
500 gr Farina di semola
500 gr Farina manitoba
550 ml Acqua imbottigliata
2 bustine Malto d’orzo
3 cucchiaio Olio d’oliva
300 gr Lievito madre
3 cucchiaino Sale iodato
Preparazione
1) Tagliare le cipolle a metà, affettarle finemente e metterle in una padella con abbondante olio. La cipolla deve stufare ma non essere fritta.
2) Dopo che si sarà imbiondita e ammorbidita, salarla leggermente, e metterla da parte.
3) Nello stesso olio tostare la mollica di piano bianco sbriciolata e farla dorare. Metterla in una ciotola per farla raffreddare, dopo che sarà fredda aggiungere il caciocavallo stagionato grattugiato e un po’ di origano
4) Tagliare il primosale a fette di circa mezzo cm di spessore. Dopo che l’impasto sarà raddoppiato, dividerlo e disporlo sulle teglie ben oliate o infarinate sul fondo, se lo volete più croccante. Premere l’impasto con delicatezza finchè non raggiunge lo spessore di circa 2 – 3 cm , in caso aiutandosi versando un po’ d’olio sull’impasto.
5) Mettere i pezzettini di alici sott’olio sull’impasto e conficcarne alcuni pezzettini nell’impasto e disporre le fette di primosale e la ricotta sia a pezzetti sia spalmandola delicatamente sull’impasto.
6) A questo punto disporre sopra tutta la superficie la cipolla, cospargere con la mollica a coprire bene il tutto, mettere un filo d’olio.
Infornare a 220 gradi per 30 minuti in forno preriscaldato.
Sfumature di sfincione
Ogni provincia siciliana ha la sua variente, ma il bello è che ogni paese, sotto Natale profumava, e profuma, di cipolla tagliata, di pecorino grattuggiato, di acciughe “squagliate”, perché presso ogni famiglia si era cominciato da qualche giorno a preparare “le conse”. I forni, spettacolo bello e sublime, direbbe Burke, già dalle prime ore del giorno della vigilia della festa dell’Immacolata e dell’Epifania, o addirittura dell’antiviglia di Natale, si gremivano di donne che, in attesa del loro turno, stavano a guardia delle “conse”, stendevano i condimenti e affinché non si confondessero gli sfincioni, visto la sostanziale uniformità del tipo di condimento, li differenziavano con un rametto di ulivo, un pezzo di scorza di mandarino, delle patate a fette, olive nere in numero vario.
Adesso, che il pititto è alle stelle, buono Sfincione a tutti.