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Il grano non è un prodotto qualunque perchè da circa 10 mila anni è la base dell’alimentazione umana. Negli ultimi 50 anni si è registrato un notevole aumento della produzione mondiale, e grazie al miglioramento genetico, le rese in alcuni ambienti, sono passate da 15 a 60 quintali per ettaro.
Insieme ai progressi della Rivoluzione Verde, si è in grado, oggi, di percepirne i limiti e alcuni effetti negativi: l’uso massiccio di concimi e diserbanti, le lavorazioni profonde dei terreni e l’abbandono della rotazione agraria hanno contribuito al peggioramento degli ecosistemi.
Il primato industriale degli stili di consumo, sostenuto dalla globalizzazione e dalla pubblicità, ha provocato la marginalizzazione degli agricoltori, l’abbandono delle terre, il dissesto idrogeologico, l’esodo rurale, la perdita di biodiversità agricola, la cancellazione di storia, memoria e cultura e soprattutto la convinzione che il cibo si produce in fabbrica o al market. E’ diventato, di fatto, oggetto di speculazioni finanziarie: la stessa partita di grano, infatti, viene acquistata, venduta e ricomprata più volte, spesso ancor prima di essere prodotta.
La dipendenza dell’industria alimentare dall’estero mette a rischio la fiducia dei consumatori verso i prodotti nazionali. La cerealicoltura viene sottovalutata perchè le materie prime per pane e pasta vengono importate da ogni angolo del mondo, salvo poi scoprire che il grano è ammuffito, pieno di glifosate, un erbicida che si usa in Canada per abbassarne il contenuto di umidità, oppure è carico di micotossine cancerogene perchè non è stato scaldato dal sole di Sicilia.
Ma la filiera del grano duro, con i suoi 300.000 ettari, è uno dei comparti chiave dell’agricoltura siciliana per il reddito degli agricoltori, il mantenimento del paesaggio rurale e la valorizzazione della cultura alimentare della Sicilia stessa.
“E’ stimato che nella nostra regione – afferma Dario Cartabellotta direttore generale dipartimento regionale pesca – l’impiego di semola rimacinata per la panificazione ha raggiunto il 40% della produzione totale di grano duro. Per la produzione dei pani tipici, descritti nell’Atlante dei Pani del Consorzio Ballatore, vengono impiegati sia grani antichi che moderni come il Simeto che insieme al Duilio, Arcangelo, Mongibello, Colosseo e Ciccio, rappresenta la materia prima della Pagnotta del Dittaino DOP”.
La ricerca condotta dalla Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone (2010) suggerisce interessanti differenze tra grani antichi (Cappelli, Margherito, Russello, Timilia) e moderni (Arcangelo, Catervo, Ciccio, Duilio, Iride, K26, Lesina, Mongibello, Pietrafitta, Rusticano, Sant’Agata, Simeto, Tresor).
Nelle ricette dei dolci siciliani non si parlava di farine 00 ma esclusivamente di Maiorca; che veniva utilizzata per le ostie, i pani bianchi e secondo alcuni studiosi la scorza del cannolo siciliano è nata con questa farina.
“I grani antichi hanno un glutine meno tenace – aggiunge Cartabellotta – e sono idonei per la produzione di pani tipici, dolci e prodotti da forno. Un caso esemplificativo è la Tumminia, frumento duro marzuolo, resistente alla siccità ed alle altre avversità abiotiche, ampiamente diffuso nel primo cinquantennio del secolo scorso in particolare in Sicilia: oggi è utilizzato per la preparazione del pane nero di Castelvetrano, ottenuto mescolando uno sfarinato integrale di grano duro con una percentuale di semola di Tumminia”.
Un altro esempio – prosegue – è il Russello. Il De Cillis indica i suoi sinonimi, Russulidda, Russia, Gigante Rosso e Tangarog che è il grano russo che dalla omonima base marina militare fondata dallo zar Pietro il Grande sul Mar Nero si diffuse in tutta Europa e negli Usa. Tale ecotipo, caratterizzato da taglia elevata, svolge un ruolo importante nell’azione di sostegno all’attività zootecnica, in rapporto al sottoprodotto paglia ed alla funzione miglioratrice della coltura nei riguardi dei riposi pascolativi.
Le analisi biomolecolari del Consorzio di Ricerca “Ballatore” hanno confermato che il Perciasacchi e il Kamut – Khorasan sono lo stesso tipo di grano, cioè il Triticum turgidum ssp. Turanicum: era coltivato in Sicilia decine di anni prima che la famiglia Quinn, nel Montana, entrasse in possesso di una manciata di semi, recuperati in Europa nel 1949 per vie traverse e non ben documentate (come si evince dal sito ufficiale). Dalla coltivazione e moltiplicazione di questi semi si è arrivati nel 1990 a registrare lo storico marchio Kamut® presso il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.
Il Bidi, Margherito e Senatore Cappelli, sono morfologicamente simili e derivano tutti dalla selezione genealogica della popolazione nordafricana Jenah Rhetifah o Mahmoudi. Il Senatore Cappelli fu ottenuto dal genetista Nazareno Strampelli e dedicato al senatore che diede sostegno economico alla sperimentazione, e fu una di quelle varietà che grazie alla produttività consentirono la Battaglia del grano del periodo fascista che aveva l’obiettivo dell’autosufficienza produttiva dell’Italia.
La Maiorca – conclude Dario Cartabellotta – è un tipo di grano tenero a chicco bianco a maturazione veloce, da secoli coltivato in Sicilia e la sua farina è sinonimo di farina per dolci, bianchissima, morbida, con basso contenuto glutinico”.