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Ripartire da Dalla Chiesa per costruire una nuova antimafia

lunedì 3 Settembre 2018
Dalla Chiesa

Il 3 settembre del 1982 veniva barbaramente assassinato dalla mafia il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo.

Quattro mesi prima, all’indomani dell’agguato mafioso in via Turba in cui persero la vita Pio La Torre e Rosario Di Salvo, era stato nominato prefetto di Palermo per assolvere il compito che lo Stato gli aveva affidato: assestare un colpo decisivo alla mafia, cosi come aveva fatto contro il terrorismo, e ripristinare l’autorità dello Stato, con la promessa da parte del governo di sostegno e poteri speciali.

Per una fortuita coincidenza, essendo in quel momento di turno nella camera ardente, allestita nel salone della federazione comunista, per Pio e Rosario, ricordo quel taxi che verso le 14,40, proveniente dall’aeroporto, si ferma davanti al portone della sede del PCI di Corso Calatafimi. Scende un uomo alto di bell’aspetto che rapidamente sale lo scalone settecentesco della sede del PCI.

Giunto nella camera ardente mi accenna appena un saluto ma non si presenta. Si ferma per pochi minuti in raccoglimento davanti alle bare e ridiscende rapidamente le scale. Era Carlo Alberto Dalla Chiesa che non appena arrivato a Palermo quale suo primo atto rese onore a Pio La Torre e Rosario Di Salvo.

Da Corso Calatafimi si sposta immediatamente dopo, sempre in taxi, in prefettura, senza fanfare e comitati di accoglienza, con la sobrietà e il rigore che caratterizzeranno i suoi comportamenti nella breve e drammatica esperienza palermitana.

La storia, infatti, è nota. Le difficoltà incontrate per le ostilità palesi o nascoste di determinati settori politici, temendo che il prefetto colpisse il nervo scoperto del nesso tra politica e mafia e la preoccupazione di determinati ambienti economici che prosperavano grazie al sostegno di Cosa Nostra.

Tutti contro il nuovo prefetto, accusato di vedere la mafia dappertutto e di criminalizzare un’intera Regione identificata con la mafia.

Vi era, però, anche la soddisfazione di avvertire attorno a sé la simpatia, l’affetto e la speranza che la sua presenza suscitava da parte di una Palermo e di una Sicilia che lo percepiva come un uomo giusto e rigoroso, nella convinzione atavica che hanno sempre avuto i siciliani che solo un aiuto dall’esterno e non dall’interno li avrebbe potuti liberare dalle ingiustizie, dalle prepotenze e dalla mafia. Da qui la sua frenesia nel ricevere delegazioni, visitare luoghi, per affermare la presenza dello Stato, presentando il suo volto amico. E poi gli incontri con gli studenti e le comunità di recupero dei tossicodipendenti, incontri con gli operai e le categorie produttive, ascoltando richieste e bisogni.

Infine la delusione e l’amarezza per i mancati poteri speciali di coordinamento nazionale nella lotta alla mafia, promessigli dal governo, mentre Cosa Nostra fa sentire con arroganza la sua potenza mietendo vittime per le strade di Palermo, fino alla terribile strage della circonvallazione dove per eliminare il boss catanese Alfio Ferlito, nemico dei Santapaola, durante il suo trasferimento al carcere di Trapani, vengono trucidati anche tre carabinieri.

Dalla Chiesa avverte come in modo subdolo gli stiano facendo il vuoto attorno, al punto che pubblicamente denuncia i mancati impegni del governo nella famosa intervista a Giorgio Bocca, ricordando che, come nel caso del giudice Costa, chi nella lotta alla mafia viene lasciato solo “può essere ucciso, isolato come un corpo estraneo”.

L’intervista è del 10 agosto del 1982. Da allora fino a terribile  3 settembre è un continuo balletto di interviste e dichiarazioni sul tipo di poteri da assegnare, sui limiti da definire, una discussione che non porta a nulla di concreto, che, anzi, lo indebolisce agli occhi dell’opinione pubblica e anche della stessa mafia che avverte che, a parte i comunisti e pochi altri, non tutto lo Stato sta con il Generale.

La sua morte segna, però l’inizio della svolta nella lotta contra la mafia da parte dello Stato, sferzato peraltro dalla dura omelia del cardinale Salvatore Pappalardo “Dum Romae loquitur, Saghuntum  expugnatur“, che suonò come un duro atto d’accusa versi i temporaggiamenti del governo che, di fatto, avevano isolato il generale.

La nuova legge antimafia proposta da Pio La Torre, l’istituzione dell’Alto Commissariato antimafia, l’introduzione del reato di associazione mafiosa e l’attacco ai beni e ai profitti mafiosi sono le pietre miliari su cui si costruiranno la controffensiva dello Stato e gli indubbi successi riportati nella lotta a Cosa Nostra, indebolita dall’azione incessante della magistratura e degli organi inquirenti.

Quel sacrificio non segnò come una mano pietosa aveva scritto sul cartello affisso nel luogo dell’eccidio la fine della speranza dei palermitani onesti, ma la rinascita di quella speranza.

L’anniversario, tuttavia, oggi coincide con una grave crisi del movimento antimafia per una serie di avvenimenti che ne hanno minato la credibilità e sancita perfino la fine di una funzione.

La riflessione sul sacrificio di Dalla Chiesa e di ciò che ha rappresentato nella lotta alla mafia potrebbe contribuire a ricostruire lo spirto di una vera antimafia e rilanciare il movimento, nella consapevolezza che se si vuole definitivamente estirpare questo cancro dal corpo sociale, non è sufficiente l’azione repressiva della magistratura e delle forze dell’ordine, non basta fare il tifo e limitarsi a plaudire per i successi da questi conseguiti, ma occorre un impegno costante di tutti i cittadini che svolgono un ruolo, nella politica, nell’economia, nella pubblica ammonizione nella scuola,nella Chiesa, in tutti quegli ambiti su cui si concentrano i tentacoli della piovra mafiosa per respingerli e tagliarli.

Oggi più che mai si avverte il bisogno di una nuova e vera antimafia, se è vero come ci avvertono i recenti rapporti della DIA, che siamo alla presenza di progetti di riorganizzazione di Cosa Nostra e che la crisi finanziaria di cui soffre per i colpi subiti spingono i mafiosi a un’azione ancora poi soffocante nei quartieri e di taglieggiamento sulle attività economiche e commerciali.

Il grande lavoro di AddioPizzo, le crescenti denunce di imprenditori che denunciavano le estorsioni subite, la costituzione di parte civile delle associazioni di categoria, le iniziative per restituire alle comunità i beni mafiosi confiscati, sembrano quasi un lontano ricordo. Oggi tutto questo sembra, infatti, essere dimenticato e che quella spinta, quell’impegno si sia definitivamente affievolito.

Le vicende legate al Caso Saguto, l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, l’arresto dell’ex presidente della camera di Commercio Roberto Helg mentre intasca una tangente, l’arresto dell’ex presidente di Confindustria Antonello Montante, tutti rappresentanti ufficiali dell’Antimafia, per citare solo i fatti più eclatanti, hanno, indubbiamente, gettato un’ombra pesante sulla credibilità del movimento antimafia, creando un clima diffuso di sfiducia e disimpegno. Finora giudiziariamente non è stato accertato alcun collegamento o compiacenza verso ambienti mafiosi e l’esistenza di reati è un compito che spetta alla magistratura, ma il danno provocato, non solo d’immagine, sulla credibilità e l’utilità della battaglia antimafia è stato enorme.

In ultimo vi è stato il caso dell’associazione Libero Futuro verso cui la prefettura di Palermo ha disposto la cancellazione per presunte infiltrazioni mafiose. Il suo presidente, Enrico Colajanni va ricordato non solo per il nome glorioso che porta, ma per il prezioso lavoro che ha svolto in questi anni nell’accompagnare e sostenere imprenditori che volevano sottrarsi al giogo mafioso o rientrare nella legalità, per cui questa vicenda che è passata quasi sotto silenzio, meritava un’attenzione e una riflessione più attenta. O si è alla presenza di errori commessi dall’associazione o si è trattato di superficiali valutazioni da parte della Prefettura. Nell’uno o nell’altro caso si tratterebbe di errori che chi ha commesso può e deve correggete. Quello che si deve evitare è l’azzeramento di un proficuo lavoro svolto in questi anni, sotto l’egida del comitato addio pizzo, e riconosciuto e apprezzato da tutti.

Se non si vuole che l’antimafia si ritrovi solo in occasione di ricorrenze commemorative occorre ripartire dalla lezione di Dalla Chiesa e impegnarsi per ricostruire un vero movimento antimafia nello spirito e negli obiettivi.

Preliminarmente occorre però aprire un serio momento di riflessione su quello che è accaduto, sugli errori commessi e le degenerazioni cui si è giunti da parte di chi ha considerato la lotta alla mafia non un valore in sé ma l’occasione per costruirsi spazi di potere e di privilegio e rendite elettorali, e soprattutto, come ciò sia potuto accadere, cosa non ha funzionato nei meccanismi di rappresentanza nelle associazioni e nelle istituzioni.

Siamo alla ricerca di chi si assume quest’ onere di riprender le fila di questo ragionamento. In questo momento non vi è da aspettarsi molto dalla politica, forse qualche associazione, qualche sindacato? Vedremo! Siamo in attesa di qualche segnale, ma un appello andrebbe rivolto agli intellettuali di questa città, al professore Salvatore Lupo, Carlo Marino, Salvatore Costantino, Piero Violante, Pietro Busetta, Umberto Santino, Giovanni Fiandaca e tanti altri che hanno dato in questi anni un prezioso contributo.

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