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I fatti di Bronte: una pagina di sangue della storia siciliana da ricordare

giovedì 20 Dicembre 2018

Che la Storia dell’umanità sia ricca di episodi scomodi e sconcertanti è cosa ben nota, infatti tantissime società, forse quasi tutte purtroppo, di tempi e luoghi molto diversi, si sono macchiate di azioni tragiche e crudeli. D’altra parte, non è una novità affermare che l’uomo sia un essere estremamente complesso, in grado di realizzare opere sublimi, pensiamo, soltanto per fare due esempi banali, alla Cappella Palatina oppure alla nona sinfonia di Beethoven. Ma disgraziatamente, le collettività umane possono generare anche atti orrendi, come massacri, torture e violenze di ogni tipo fino ai genocidi. Naturalmente si cerca, spesso, di insabbiare alcune vicende troppo compromettenti, soprattutto se queste sono state commesse da chi esce vincitore da una lotta politica o da una campagna militare.

Una vicenda sicuramente molto ingombrante, difficile da conciliare con la retorica sabauda dell’unità “nazionale” e della liberazione del popolo italiano dalla “tirannide” straniera, fu l’insurrezione di Bronte, scoppiata durante la campagna di Sicilia condotta da Garibaldi. Bronte, in provincia di Catania, si trova nella valle del Simeto, a circa 750m di altitudine. I brontesi avevano creduto nella “rivoluzione garibaldina” e nel sogno che “l’eroe dei due mondi” potesse liberarli dal secolare assoggettamento dei baroni locali. I contadini in sostanza chiedevano di poter lavorare un appezzamento di terra in piena libertà, divenendone proprietari, senza dover più dare conto e ragione a nessuno, chiedevano la fine del latifondismo.

Nei pressi di Bronte, si trovava un grande feudo, di circa 15.000 ettari, detto “Ducea Nelson”, di proprietà degli inglesi e più precisamente dei discendenti dell’ammiraglio Horatio Nelson, colui che aveva dato tanti fastidi alle flotte napoleoniche. Il “grande” ammiraglio inglese era stato nominato nel 1799 dal re Ferdinando III di Sicilia “Duca di Bronte”, per ringraziarlo delle imprese navali conseguite, grazie alle quali ostacolò le ambizioni napoleoniche di conquistare la Sicilia. Di fatto, in questo modo, i brontesi erano diventati vassalli di Horatio Nelson e dei suoi discendenti, molteplici erano le prestazioni che i contadini di Bronte dovevano agli inglesi, tra servitù, gabelle e pedaggi, per non parlare delle innumerevoli ingiustizie subite. I brontesi quindi volevano l’abolizione della “Ducea Nelson” e che i suoi 15.000 ettari fossero assegnati ai contadini.

A queste richieste, la maschera indossata da Garibaldi non poteva che cadere con un fragore assordante. Infatti, è bene ricordare, che gli inglesi erano i più grandi azionisti della schiera di coloro che appoggiavano e finanziavano la campagna garibaldina, in quanto la corona inglese aveva grandi interessi nella caduta del regno borbonico. I motivi di questo interessamento britannico erano molteplici, cerchiamo di ricordarne i più rilevanti: innanzitutto gli inglesi intrattenevano importanti relazioni commerciali ed economiche con la Sicilia, la presenza di uomini d’affari inglesi che avevano investito nell’Isola non era rara (pensiamo per esempio agli Ingham) ma gli interessi economici più importanti erano legati allo sfruttamento delle zolfare siciliane, alcune delle quali erano controllate dagli inglesi. Ricordiamoci che all’epoca lo zolfo era una risorsa di fondamentale importanza, quasi equiparabile al petrolio odierno.

In tale contesto, il Regno delle Due Sicilie, oltre a trovarsi in una posizione geografica strategica, nel bel mezzo del Mediterraneo, cercava di competere con l’Inghilterra nella fabbricazione di macchine a vapore, tentando nel frattempo di escludere i britannici dal controllo delle miniere di zolfo. Pertanto, era evidente che Garibaldi non avrebbe mai potuto ledere gli interessi e i guadagni di coloro che lo sostenevano. Per cui, vedendo tradite le proprie attese, i brontesi scesero in piazza l’1 agosto 1860. L’insurrezione fu violenta, i contadini torturarono e ammazzarono diversi notabili brontesi, saccheggiando e incendiando le loro abitazioni; nel frattempo in molte altre località scoppiarono agitazioni simili come per esempio a Randazzo, Trecastagni, Biancavilla, Nicosia, Noto, Regalbuto, Cefalù e tante altre.

La reazione di Garibaldi fu quasi immediata, inviando il 6 agosto diversi reparti garibaldini. Il generale Nino Bixio, che comandò le operazioni di repressione della rivolta, dichiarò lo stato d’assedio e ordinò che l’insurrezione fosse soffocata in modo inflessibile. Il 10 Agosto 1860, cinque brontesi, tra cui due innocenti, uno dei quali soffriva anche di demenza, furono fucilati e i loro corpi in segno di disprezzo vennero esposti alla popolazione. Inoltre, molti altri brontesi, innocenti e non, furono giudicati frettolosamente dal tribunale di guerra e puniti severamente, subendo torture e altre violenze di ogni tipo. Insomma i “fatti di Bronte” sono una pagina spregevole del nostro Risorgimento, una vicenda ingloriosa del glorificato Garibaldi che non poté fare almeno di salvaguardare gli interessi degli inglesi, anziché concedere ai contadini la tanto desiderata riforma agraria, che permettesse loro di liberarsi da lacci e vincoli feudali.

Quando in gioco ci sono interessi politici e commerciali da difendere, il bene delle fasce sociali più deboli perde ogni rilevanza, quando di mezzo c’è il tintinnio dell’oro, la giustizia sociale viene schiacciata dallo scroscio della propaganda e della retorica per cercare di occultare fatti troppo scomodi, come quelli di Bronte.

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