La Carmen di Calixto Beito torna al Teatro Massimo di Palermo. Dopo sei anni dall’ultima interpretazione il pubblico siciliano ha potuto godere di un allestimento che gira il mondo da circa undici anni riscuotendo applausi ed elogi. Una performance che verrà replicata fino al 4 dicembre e per cui è andata esaurita buona parte dei ticket. Quando si sfida la morte vince sempre lei, e forse lo sapeva anche Carmen quando spavalda inizia la sua corrida con la vita, con Don Josè, con l’amore, in nome della libertà.
In realtà la vera corrida non è quella della Plaza de Toros di Escamillo, ma quella terribile e privata che mette davanti Carmen a Don Josè, nel bellissimo quadro del quarto atto, soli, come in un arena, si affrontano con tutta la violenza di cui sono capaci, senza alcuna pietà, con il solo desiderio di annientarsi. Il mezzo soprano armeno, Varduhi Abrahamyan, è proprio la Carmen che il regista poteva desiderare, bella, giovane, sfrontata, voce calda, dal timbro scuro, attrice di talento eccellente, consapevole di aver superato la soglia della libertà per sconfinare nell’anarchia sentimentale. Al vitalismo della musica di Bizet, diretta con grande energia dal maestro Alejo Pérez, con toni di felice lucentezza e smalto nei momenti sinfonici, si oppone una regia certamente ragionata, ma che pospone la vicenda agli anni 60 del 900, e pone i personaggi in una sorta di deserto dove i gitani vivono in alcune Mercedes.
Bella prova per la Micaela di Maria Katzarava, molto applaudita. Ma anche l’Escamillo di Marko Mimica ha avuto un certo successo insieme a Marina Bucciarelli e Annunziata Vestri, Frasquita e Mercedes. Altro discorso per il tenore messicano Arturo Chacon-Cruz, che è stato catapultato in scena a poche ore dal suo arrivo e ha dovuto sostituire Roberto Aronica nel ruolo di Don Josè, qualche lieve indecisione, ma del tutto comprensibile. Gran successo per i due cori, gli adulti e i piccoli, diretti da Piero Monti.