La nostra città sta attraversando una delle sue crisi peggiori dal secondo dopoguerra ad oggi. Ma non è una crisi economica, o perlomeno non è solo economica. È una crisi sistemica. Manca una visione comune della città, un modello di sviluppo, c’è un deficit identitario, oltre che economico. Il tessuto sociale è sfilacciato, le relazioni incattivite, la “società civile” un fantasma.
In sintesi a Messina manca una classe dirigente.
Anche se, il tema interessa il Mezzogiorno nel suo complesso e non da ora, se uno dei maître à penser del Novecento Norberto Bobbio scriveva: «Come uomo del Nord, anche se non nordista, perché ho avuto una educazione risorgimentale… e debbo gran parte della mia formazione civile a uomini del Mezzogiorno come Croce e Salvemini, ho sempre esitato a esprimere il mio parere su una questione così complessa e controversa come la questione meridionale. Ma oramai una cosa è diventata ai miei occhi sempre più chiara, e sempre più difficilmente confutabile: la questione meridionale è prima di tutto una questione dei meridionali».
Ma oggi, ed in massima misura a Messina, il problema di selezionare una nuova classe dirigente è diventato una vera emergenza. Se nella vituperata prima Repubblica, la leadership in tutti i settori della vita sociale era, nella media ponderata, in mano ai migliori, adesso sovente prevalgono i peggiori. E se questo è vero in tutti i campi, lo è in maniera esponenziale nella politica, laddove i migliori, intesi come i portatori di valori e competenze, sono respinti da quel mondo, come in economia la moneta “cattiva” scaccia quella “buona”.
Per aver dimostrazione di quanto detto, basta assistere a qualche seduta di Consiglio comunale o ascoltare le dichiarazioni del Sindaco della città. Come e quando porre rimedio a questa situazione è difficile saperlo. Servono certamente nuovi partiti, ma questi saranno possibili solo se ci sarà una rinnovata spinta della società civile, un “colpo di reni” culturale e sociale. Ovvero non toccherà ai partiti cambiare la società, bensì sarà la società civile, svegliandosi dal suo torpore, che obbligherà i partiti a cambiare.
Come scrisse il filosofo Eraclito già 2500 anni fa: «I dormienti sono artefici delle cose che accadono nel mondo, e aiutano a produrle». Ma non abbiamo tempo. Non possiamo attendere che evolva spontaneamente la dialettica tra politica e società civile. Serve un’accelerazione, uno “scatto”: è necessario immaginare un incubatore di idee per un progetto di sviluppo della città.
E se ci guardiamo in giro riteniamo che tale ruolo propulsivo lo possa giocare l’Università, una delle poche istituzioni che, nel nostro contesto, ha conservato autorevolezza e credibilità, accrescendola anzi negli ultimi anni, dimostrando vocazione per l’innovazione e propensione per una interazione positiva col territorio. Prova ne è stata la recente iniziativa di regia del dibattito tra forze sociali, produttive e movimenti, per la preparazione del documento propositivo per il ministro Delrio in visita in città.
In un contesto depresso e privo di prospettive, il nostro Ateneo deve appropriarsi pienamente del ruolo di laboratorio per lo sviluppo, di “pensatoio della città”, in osmosi con le residue e deboli, forze culturali e produttive, per l’elaborazione di strategie per salvare l’esistente e migliorare il futuro. Assumendo, de facto una funzione di sussidiarietà della classe politica dormiente.
Bisogna riaprire al più presto un dibattito libero su cosa deve diventare Messina, e come: questa è la priorità assoluta. Ed è sulla base di questo dibattito pubblico che si getteranno le basi per la formazione della nuova classe dirigente della città.