Il Gup di Palermo Gabriella Natale ha rinviato a giudizio con l’accusa di estorsione il direttore di Tele Jato, Pino Maniaci, per anni simbolo di battaglie nel palermitano. Il processo, che comincerà il 19 luglio davanti alla Seconda sezione del tribunale, è stato disposto anche per altri 11 imputati: boss ed estortori. Secondo l’accusa, rappresentata dai Pm Roberto Tartaglia, Amelia Luise, Francesco Del Bene e Annamaria Picozzi, Maniaci avrebbe preteso favori e denaro da amministratori locali minacciandoli, in caso di rifiuto, di avviare campagne mediatiche negative nei loro confronti.
“Voglio essere processato”: così Pino Maniaci si è rivolto al gup Gabriella Natale prima della lettura della decisione. Maniaci, che da emblema della lotta alla mafia si è ritrovato indagato, si è detto vittima di un complotto che sarebbe stato innescato dalle sue denunce sulla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. “Sarà un collegio – ha aggiunto – ha stabilire la verità”.
Il processo è stato disposto anche per Nicolò Salto, Giuseppe, Antonino, Tommaso, Francesco e David Giambrone, Francesco Petruso, Antonino Frisina, Antonio Salto e Salvatore Peteuso. Salvatore Brugnano ha scelto il rito abbreviato. Il processo nasce da una indagine della Dda sulla mafia di Borgetto: undici gli arrestati accusati a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni. Nell’inchiesta fu coinvolto proprio Giuseppe Maniaci: secondo l’accusa avrebbe ricevuto somme di denaro e agevolazioni dai sindaci di Partinico e Borgetto e da un assessore comunale di Borgetto. In cambio avrebbe evitato commenti critici sull’operato delle amministrazioni comunali.
Maniaci, a cui fu notificato il divieto di dimora nei comuni di Palermo e Trapani, incappò nelle maglie della giustizia per caso: i militari dell’Arma indagavano sui clan di Partinico e sui rapporti tra mafia e politica locale. Da una intercettazione ambientale, a carico di un sindaco, in diretta venne fuori la consegna di una somma di denaro al giornalista. Circostanza che insospettì gli investigatori che decisero di metterlo sotto controllo.
E così che scoprirono che in cambio di piccole somme – 200-300 euro – assicurava ai sindaci di non trasmettere quelli che definiva scoop che avrebbero potuto danneggiarli. Oltre al denaro avrebbe anche chiesto un contratto a termine per l’amante al comune di Partinico. E il sindaco di allora, Salvatore Lo Biundo avrebbe accondisceso.
Sono Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino gli avvocati difensori di Pino Maniaci; i due commentano il rinvio a giudizio per estorsione del direttore di Telejato. “L’esito di questa udienza preliminare conferma purtroppo il fallimento del codice di procedura penale, in particolare il fallimento dell’udienza preliminare come filtro per evitare i processi per reati privi di prova. Maniaci – aggiungono – è stato prima condannato mediaticamente e ora viene processato giudiziariamente sulla base di accuse non sorrette da prove idonee. Lo ha riconosciuto anche un giudice delle indagini preliminari di Palermo, quando ha revocato per Maniaci la misura cautelare del divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani ritenendo che non ce ne fossero i presupposti per una delle estorsioni contestate. Purtroppo – concludono – nemmeno ciò è servito, e se non è servito in un caso clamoroso come questo è lecito chiedersi a cosa serva l’udienza preliminare: tanto vale abolirla. In ogni caso, affronteremo il processo certi di riuscire a dimostrare l’innocenza di Maniaci, l’assoluta infondatezza delle accuse che gli vengono contestate. Siamo sicuri che alla fine giustizia sarà fatta, ma sarà purtroppo una giustizia tardiva”.