Riina? “Lo Stato non è la mafia, non si vendica e non fa ritorsioni. Il richiamo della Cassazione è sensato, abbiamo già perso un’occasione con Provenzano. Così rischiamo di perdere il 41 bis“. Lo afferma a Radio Cusano Campus il magistrato Alfonso Sabella, per molti anni in prima fila contro Cosa Nostra.
“Fui condannato a morte da Riina – ricorda Sabella – per l’arresto del figlio maggiore, Giovanni, che avevo arrestato e fatto condannare per vari omicidi che aveva commesso, tra cui uno strangolamento, cui lo aveva indotto lo zio Leoluca Bagarella, che doveva insegnare al ragazzo come si faceva, quale era la tradizione di famiglia. La questione proposta dalla Cassazione è molto seria e va affrontata con la testa, non con la pancia. Bisogna rispettare le leggi. La Cassazione non ha detto di scarcerare Riina, ha semplicemente detto che ciascuno ha diritto di morire con dignità e che bisogna valutare se la struttura penitenziaria sia in grado di assicurargli le cure necessarie. Non c’è niente di strano, è chiaro che siccome la cosa riguarda Riina si accendono i riflettori sul caso”.
“Ricordiamoci – prosegue il magistrato – che noi viviamo in un ordinamento civile, lo Stato non è la mafia, lo Stato non si vendica, non facciamo vendette tribali nè possiamo legittimare forme di tortura. Le pene, lo dice chiaramente la Costituzione, nell’articolo 27, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. La dichiarazione dei diritti dell’uomo dice che tutti gli esseri umani sono uguali in dignità e diritti e che nessun individuo deve essere sottoposto a tortura o a trattamento che lo privi dei diritti umani. Da Stato noi questi principi li dobbiamo applicare, è questo che ci differenzia dalla mafia e dalle organizzazioni criminali”.