Con i mariti mafiosi in carcere, erano le mogli, a Gela, a dirigere il racket delle estorsioni e il traffico di stupefacenti. I carabinieri hanno concluso una loro indagine che, alle prime luci dell’alba, ha portato all’arresto di sei persone in una operazione denominata “Donne d’onore”. Le manette sono scattate per tre donne e tre uomini.
Donne d’onore che a Gela “gestivano aziende” familiari con polso fermo e deciso nel traffico della droga e nelle estorsioni, al posto dei mariti detenuti in carcere. I carabinieri hanno sgominato la banda eseguendo sette provvedimenti cautelari, emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta. Quattro gli ordini di custodia cautelare. Riguardano Nicola Liardo, di 43 anni, il figlio, Giuseppe, di 20 anni, e il genero, Salvatore Raniolo, di 27 anni, tutti di Gela, nonché Salvatore Crisafulli, di 39 anni, di Catania. Arresti domiciliari invece per due delle tre donne coinvolte nell’inchiesta, Monia Greco, di 40 anni, di Gela, moglie di Nicola Liardo, e Maria Teresa Chiaramonte, di 44 anni, di Catania, moglie di Crisafulli.
La terza donna, Dorotea Liardo, di 22 anni, figlia di Nicola e moglie di Raniolo, è stata sottoposta all’obbligo di firma. Ai sette, a vario titolo, vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di stupefacenti aggravato dal metodo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso e danneggiamento a colpi di arma da fuoco. Proprio dalle intimidazioni parte, nell’ottobre del 2015, l’indagine dei carabinieri coordinate dal pm, Lia Sava. Intercettazioni telefoniche e ambientali su una quarantina di sospettati, portano alla famiglia di Nicola Liardo, detenuto al “Pagliarelli” di Palermo dove stipulava affari nel traffico di eroina col compagno di cella, Salvatore Crisafulli che da Catania gli forniva la droga all’ingrosso.
Gli ordini dei due partivano dal carcere tramite le rispettive mogli, che poi gestivano il mercato assai fiorente, se è vero che uno dei figli di Liardo, Giuseppe, il corriere di casa, fu emarginato perché cedeva cocaina gratis agli amici fino ad accumulare ammanchi pari a 10 mila euro. Il suo posto fu preso dal cognato, Salvatore Raniolo. Proprio per Giuseppe, che si trovava in stato di detenzione, fu messa in piedi la prima delle due estorsioni contestate. La banda impose al titolare di un autolavaggio di assumerlo e pagargli i contributi per potergli concedere la semilibertà. L’altra riguardò un imprenditore ortofrutticolo. “E’ il vincolo di sangue – ha detto il pm Lia Sava – a permettere alle donne (mogli, sorelle, figlie, madri) di acquisire ulteriore autorevolezza nella famiglia criminale quando il congiunto-capo è detenuto in carcere”.bre e domenica 1 ottobre, in via san Giovanni alla Guilla, dalle 18,30, Maria Grazia Saccaro racconterà al pubblico la storia dell’avvelenatrice “Peppa la Sarda” fra storia e leggenda.