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Tre donne siciliane che hanno fatto la Storia

mercoledì 18 Maggio 2022

Conosciamo in tanti la storia di Franca Viola, di Alcamo, che nel 1968, appena diciottenne, sostenuta dalla sua famiglia, rifiutò un matrimonio riparatore, diventando un simbolo della crescita civile dell’Italia nel secondo dopoguerra e dell’emancipazione delle donne italiane.

Il 26 dicembre 1965, all’età di 17 anni, figlia di una coppia di coltivatori diretti, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da uno spasimante sempre respinto, Filippo Melodia, imparentato con la potente famiglia mafiosa dei Rimi, che agì con l’aiuto di dodici amici. La ragazza fu violentata e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese; fu liberata con un blitz dei carabinieri il 2 gennaio 1966. All’epoca, la legislazione italiana, in particolare l’articolo 544 del codice penale, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto “matrimonio riparatore”, contratto tra l’accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerato oltraggio alla morale e non reato contro la persona. Contrariamente all’usanza Franca Viola, sostenuta soprattutto dal padre Bernardo, non accettò il matrimonio riparatore, denunciò il suo rapitore e andò incontro a un processo che, grazie al settimanale Epoca e al Corriere della Sera, diventa un caso nazionale, suscitando profondi dibattiti, polemiche e interpellanze parlamentari. Due atti di coraggio dunque: il primo la denuncia, il secondo offrire la propria persona in pasto a un altro processo, più duro di quello dei tribunali, quello della piazza.

La vicenda venne seguita da tutti, in un Paese che si stava risollevando, che era in pieno boom economico e in cui costumi e consuetudini stavano velocemente mutando. Come sappiamo è stato un percorso lungo e impervio, quello dell’emancipazione delle donne: l’articolo 544 del codice penale sarà abrogato dall’articolo 1 della legge 442, emanata il 5 agosto 1981, che abolisce la facoltà di cancellare una violenza sessuale tramite un successivo matrimonio. Un cammino che dura ancora oggi ma che non è iniziato con Franca Viola, anche se l’allora giovinetta ebbe il merito di affrontare pubblicamente la sua vicenda, facendo del suo problema personale un tema nazionale di diritti delle donne e di morale comune.

Il terreno in cui esplose la vicenda di Franca era stato irrigato molto tempo prima e quell’anelito di giustizia innescato dal coraggio immenso di cui sono capaci le donne siciliane scorreva come un fiume carsico da decenni.

30 anni prima di Franca Viola, infatti, nel 1939, un’altra diciassettenne siciliana di umile famiglia, denunciò uno stupro subìto e rifiutò il matrimonio riparatore

È la storia di Maria Rosa Vitale, una storia emersa dall’oblio solo da qualche anno grazie alla figlia Vera e a giornalisti locali. Nel 1939, a Cinisi, alla viglia della guerra e in piena era fascista, anche Maria Rosa venne rapita di sera dentro la sua casa, sotto gli occhi di padre, madre e fratellini da un ragazzotto che lavora nelle terre con suo padre, aiutato dai suoi fratelli. Esattamente come Bernardo Viola, il padre di Maria Rosa decise di sostenere la figlia e di denunciare il fatto, sfidando il paese e la vergogna che si abbatterà sulla figlia e sulla sua famiglia.

Denunciarono, i tre finirono in galera, ci fu lo scandalo che doveva esserci, tutta famiglia ne soffrì. Maria Rosa fu spedita a Partinico, ci fu la guerra, venne la pace, suo padre la fece studiare fin quasi alla laurea, i fatti furono un ricordo dell’anima conservato nel cuore di alcuni, nessuno ne parlò mai più.

Ci sono 40,8 chilometri e 30 anni tra la denuncia di Maria Rosa nel 1939 e quella di Franca ad Alcamo alla fine degli anni ’60. Maria Rosa Vitale, proprio negli anni in cui Franca Viola ripeteva i suoi stessi passi e i suoi stessi tormenti con maggiore clamore, era segretaria negli uffici della scuola di Cinisi, non si era sposata ma era donna attiva e presente nella società e nella politica, fu la prima donna consigliera comunale e poi assessora a Cinisi, dove era tornata a vivere, fino a quando fu protagonista di un nuovo atto di rivolta. Tale può essere l’amore corrisposto con un uomo separato ma non divorziato, il preside della scuola dove lavora, sono gli anni ’60 e il divorzio ancora non c’è. Il coraggio, se una ce l’ha, non se lo può frenare, parafrasando Manzoni. Vanno a vivere insieme a Palermo e da quell’amore arriverà una figlia inaspettata, Vera.

Vera, archeologa, mamma di tre figli, non sapeva nulla di questa storia, non sapeva da dove derivasse tutto il coraggio di quella mamma adorata, oggi morta, che le ripeteva da mattino a sera “devi credere in te stessa, figlia mia, nulla ti è impossibile ricordatelo, sarai spesso sola e dovrai ricordartelo soprattutto allora, di difenderti e di difendere quello in cui credi e vuoi diventare e fare”.

Fino a quando, qualche anno fa, hanno bussato alla porta di Vera i ragazzi di un giornale locale.

“Vera possiamo farti un’intervista su tua madre?” “Certo!”. Crede che si parlerà della prima assessora donna di Cinisi e invece si parlerà della prima donna che in Italia denunciò uno stupro e rinunciò al matrimonio riparatore. No, non Franca Viola, sua madre. Sua madre? Glielo conferma lo zio, il fratello ancora vivo di sua mamma, e gliela racconta tutta quella storia “che tanto ci fece soffrire, ma che tanto ha inciso nella nostra storia”.

Non basta. Alla storia di Maria Rosa e a quella di Franca si aggiunge oggi una terza donna coraggio, Girolama.

Nel gennaio 1963, sempre ad Alcamo Girolama Benenati, che oggi ha 82 anni e all’epoca dei fatti ne aveva 23, compì la stessa scelta, denunciando l’uomo che l’aveva sequestrata. La notizia viene rivelata da alcuni documenti scovati dall’emittente locale Alpa1. Stesso destino di ingiurie e offese subìto dalla giovane da parte di paesani che le davano della svergognata, della poco di buono e dell’infame. Girolama dopo il processo ha scelto il silenzio e la solitudine, non si è mai fatta una famiglia.

Sono storie di grande coraggio, perché oltre il torto subito queste donne hanno attraversato nel momento della denuncia il deserto dell’infamia. Un’infamia che oggi ha da tramutarsi in gratitudine, non solo da parte di noi donne, ma anche da parte degli uomini, perché sono stati passi intrapresi verso il progresso civile in terreni impervi e piene di rovi. Maria Rosa e Girolama hanno aperto la via, Franca l’ha mostrata a tutto il Paese.

Tre ragazze siciliane, umili, sconosciute, alcune fino ad oggi, che hanno scritto la Storia civile del Novecento italiano e che dovrebbero entrarci sul serio, nei libri di storia.

In foto Maria Rosa Vitale (per gentile concessione della figlia)

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