“Uno racconta, comunica all’altro questo, questo lo comunica a quell’altro e quell’altro e a giro, quando torna, è come la storiella che incomincia con il lupo che vuole mangiare Cappuccetto rosso e finisce con Cappuccetto rosso e la nonna che mangiano il lupo“. È questa l’originale metafora, ispirata alla famosa fiaba, usata da Papa Francesco nel discorso sulla comunicazione e i media che ha rivolto alla famiglia paolina ricevuta in udienza in Vaticano.
Il Pontefice ha insistito molto su una comunicazione “pulita” ed “evangelica” e ha invitato i figli e le figlie spirituali del beato don Alberione ad essere “apostoli della comunicazione”. “Se noi prendiamo i mezzi di comunicazione di oggi – ha aggiunto il Papa – manca pulizia, manca onestà, manca completezza. La dis-informazione è all’ordine del giorno: si dice una cosa ma se ne nascondono tante altre. Dobbiamo far sì che nella nostra comunicazione di fede questo non succeda, non accada, che la comunicazione venga proprio dalla vocazione, dal Vangelo, nitida, chiara, testimoniata con la propria vita“.
Francesco ha ribadito come non bisogna solo comunicare, ma anche “redimere la comunicazione dallo stato in cui è oggi, nelle mani di tutto un mondo di comunicazione che o dice la metà, o una parte calunnia l’altra, o una parte diffama l’altra, o una parte sul vassoio offre degli scandali perché alla gente piace mangiare scandali, cioè mangiare sporcizia. Non è vero? È così”. Dunque la testimonianza che i paolini e le paoline possono offrire sta nel rifarsi alla vera comunicazione, “quel rapporto tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che è nel segno della Trinità. La vostra vocazione – ha perciò rimarcato il Papa – è che la comunicazione sia fatta pulita, chiara, semplice. Non trascurate questo, è molto importante”.
Bergoglio ha concluso mettendo in guardia da un pericolo in particolare: “Non è una professione. Sì, fra voi ci sono comunicatori professionisti, questo sta bene; ma prima della professione, è una vocazione, e la vocazione ti dà l’identità. Che non vengano i “fumi” e ti riempiano la testa perché sei uno importante, sei arrivato a monsignore, a cardinale… Niente, no, questo non serve a nulla. Serve la pulizia, cioè da dove vengo, la realtà. E Dio si comunica sempre nella realtà“.
Di qui la raccomandazione finale: “Fate in modo che la vostra vita sia proprio la comunicazione della vostra vocazione, che nessuno di voi debba nascondere la propria identità vocazionale”. Solo così la “comunicazione sarà poesia del comunicare bene”.