Una pronuncia da parte della Giustizia del lavoro palermitana dagli effetti devastanti per le economie dell’Amministrazione Regionale. La decisione arriva con una Sentenza del Tribunale del Lavoro di Palermo, Giudice Paola Marino, dello scorso 6 febbraio, che ha riconosciuto l’illegittima esclusione di oltre quaranta lavoratori che l’Amministrazione Regionale aveva espulso dal Bacino nel maggio 2014 poiché ritenuti responsabili di comportamenti incompatibili con l’inserimento e la permanenza nel Bacino stesso, e ha stabilito che alla loro riammissione, avvenuta nel 2017, dovrà seguire il riconoscimento degli assegni di sostegno al reddito arretrati, e non pagati, per oltre trentamila euro ciascuno.
È una storia che parte da lontano, da una decisione del Governo Crocetta, il cui Assessorato alla Famiglia, Lavoro e Politiche Sociali nel mese di maggio 2014 escludeva dall’elenco del Bacino Ex Pip Emergenza Palermo oltre quaranta lavoratori, sul presupposto che avessero tenuto, o reiterato, comportamenti penalmente rilevanti che denotavano un oggettivo rifiuto al reinserimento lavorativo e sociale.
Nello specifico, l’allora Amministrazione Regionale riteneva che ciascuno dei lavoratori esclusi, avesse violato l’art. 43 comma 2 della Legge regionale n. 9 /2013 che privava dell’assegno di sostegno del reddito coloro i quali “si rendano responsabili di azioni contrarie all’ordine pubblico e/o al patrimonio e/o alle persone”. Tale norma veniva successivamente confermata dall’art. 68 comma 6 della Legge regionale 9/2015.
L’interpretazione che l’Amministrazione Regionale dava della norma era nel senso di applicare la decadenza dal Bacino e, dunque, dal relativo beneficio economico, per tutti quei lavoratori che avessero commesso fatti penalmente rilevanti anche prima della sua entrata in vigore, dunque riconoscendo al citato art. 43 comma 2 una portata retroattiva, a dispetto della sua formulazione letterale che lasciava già intendere, di per sé, un’applicazione per l’avvenire, ossia per chi avesse commesso condotte penalmente rilevanti solo dopo la sua entrata in vigore.
Forte di questa interpretazione retroattiva, l’allora amministrazione Crocetta escluse dall’elenco centinaia di lavoratori che, pur tuttavia, non avevano commesso reati accertati con sentenza passata in giudicato dopo l’entrata in vigore della legge n. 9/2013, lasciando loro e le rispettive famiglie nella più totale incertezza per il futuro, ciascuna con i propri carichi di disperazione e con un senso di precarietà e frustrazione che ancora oggi molti faticano a rimuovere dai propri ricordi avendo lasciato un solco di pene e sofferenze facilmente immaginabili.
Ad ogni modo la portata interpretativa retroattiva della norma regionale destava non poche perplessità, e a circa tre anni dall’esclusione di moltissimi lavoratori ormai disperati veniva approvata una legge regionale (n. 8/2017) che specificava che le condotte rilevanti per la decadenza dal Bacino sarebbero state solo quelle commesse successivamente alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 9/2013 e, quindi, successivamente al maggio 2013.
A quel punto l’amministrazione regionale, valutate le singole posizioni dei lavoratori esclusi e accertata la non commissione di reati successivamente al maggio 2013, ri-ammise nel Bacino centinaia di essi, collocandoli presso svariati enti, pur tuttavia – e qui sta la protervia e l’insensatezza della condotta dell’Amministrazione Regionale – senza riconoscere loro gli assegni di sostegno al reddito non pagati per tre anni di esclusione palesemente illegittima sin dall’origine.
Circa quaranta di questi lavoratori riammessi nel Bacino si sono rivolti all’avv. Pier Luigi Licari affinché venisse riconosciuto il loro diritto a vedersi corrispondere il relativo assegno assistenziale, con decorrenza dalla data di esclusione di ciascuno di essi (2014) e sino all’effettivo reinserimento nell’elenco avvenuto nel 2017.
Spiega l’avv. Licari: “La legge regionale n. 8/2017 ha chiarito come le condotte determinanti la decadenza dal Bacino dovevano essere solo quelle commesse successivamente al mese di maggio 2013 e per quasi nessuno dei miei assistiti, casellario giudiziario alla mano, tale circostanza si è verificata; con riguardo agli altri, tuttavia, non è intervenuta alcuna sentenza definitiva dalla data di esclusione e fino a quella del reinserimento, ciò legittimando la loro riammissione, anche alla luce del principio di non colpevolezza sancito dall’art. 27 della Costituzione secondo il quale nessuno può essere dichiarato colpevole se non in forza di una sentenza divenuta inoppugnabile.
Il Giudice, mutando un orientamento fino a quel momento invalso presso la Sezione Lavoro del Tribunale di Palermo e contrario addirittura a quello della Corte d’Appello distrettuale, ha convenuto per l’illegittimità dell’esclusione dall’elenco disposta per i miei assistiti nel 2014 e, vista la loro riammissione solo nel 2017, ha riconosciuto il diritto al percepimento dell’assegno di sostegno al reddito sospeso dalla data di esclusione dall’elenco suddetto sino al reinserimento, oltre interessi come per legge.
Si tratta di un duro colpo per le casse della Regione siciliana che dovrà versare complessivamente agli oltre quaranta ricorrenti più di un milione e cinquecentomila euro, senza considerare il pagamento delle spese legali e la refusione all’erario delle spese del giudizio riconosciute all’avv. Pier Luigi Licari, vista l’ammissione di molti, fra i ricorrenti, al Patrocinio a spese dello Stato.
“Il maldestro tentativo dell’allora Governo Crocetta di trovare una sorta di “soluzione finale” dell’annosa vicenda degli Ex Pip si è rivoltato contro l’esecutivo stesso, e contro la collettività, a carico della quale, di fatto, graverà questa ingente somma, che rappresenta un danno erariale di gigantesche proporzioni.
Probabilmente, si sarebbe dovuto fare un uso più oculato dello strumento normativo, “disegnando” nel 2014 una legge che non creasse incertezze sulla sua portata applicativa, salvaguardando chi non aveva commesso reati dopo la sua entrata in vigore. Si sarebbero così evitate esclusioni illegittime di persone, esseri umani prima ancora che lavoratori, non lasciando nella più profonda disperazione famiglie intere che per tre anni hanno dovuto “sbarcare il lunario” con enormi sacrifici anche a discapito della propria salute psicofisica.
Il mio ricorso giudiziario è stato il tentativo di veicolare il dolore e la profonda frustrazione di queste persone creando in loro, prima di tutto e più di tutto, la fiducia nella Giustizia e la speranza, priva di illusioni, nell’accoglimento delle loro ragioni.
A ciascuno dei miei assistiti auguro, alla luce del risultato ottenuto, un futuro più sereno, un impegno sempre più intenso al servizio della collettività e una rinnovata fiducia nella Giustizia”.
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