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L’epoca dell’ansia

lunedì 20 Settembre 2021

Sono seduto davanti al monitor (anche perché dietro non si vede nulla), e sto cercando l’ispirazione per iniziare a raccontarvi di un pensiero che mi tormenta da un po’: c’è un caldo che basta la metà, sebbene si sta decisamente meglio rispetto ai giorni scorsi, e questo piccolo ventilatorino puntato verso di me, ma non troppo, sembra volermi regalare un piccolo sollievo.

Però, in questa epoca così piena di paura, c’è chi non riesce a trovare sollievo proprio per niente: viviamo, infatti, in un preciso periodo storico funestato dall’ansia di vivere, dalla paura costante che ci tormenta e ci attanaglia, e ci rende così pieni di ritrosia nel volerci buttare e rischiare, come se correre il “rischio di rischiare” ci esponesse a danni di chissà quale caratura e livello, come se prendere coraggio diventasse sempre più difficile e poco necessario. Ma no, non è così.

C’è questa maledetta ansia generalizzata che serpeggia, soprattutto tra i giovani, che hanno paura ad esporsi e rischiare, che temono per il loro cuore ed i loro sentimenti, che pensano al loro futuro e non sembrano vedere nessun orizzonte, nessuna certezza tranne che tanti punti interrogativi, in quel navigare a vista che sembra essere diventato il mantra di questo periodo così scellerato.

E non per forza dobbiamo dare la colpa al Covid: le cose andavano male già prima della pandemia, e i giovani vivevano le loro ansie già da tanto, soltanto che se ne parlava troppo poco, o più banalmente, si tendeva a rendere il tutto quasi una sottigliezza di poco conto.

Ma adesso no: adesso non possiamo più far finta di niente. Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Italia In Salute, infatti, il 40,2% dei giovani avverte un qualche tipo di disagio psicologico: significa quasi la metà dei giovani. Un dato che non dovrebbe soltanto farci preoccupare, ma anche farci riflettere, soprattutto perché non mi sento affatto di dare la colpa proprio ai giovani, né mi sento di criticarli o additarli, in qualche maniera, per le loro insicurezze e paure.

Riflettendo, chi, nei panni di un moderno giovane che non sia figlio di un ricco imprenditore o di un magnate, ma che sia, magari, figlio di un modesto operaio a 900 Euro al mese, si sentirebbe in grado di affrontare la vita che si apre davanti ai suoi occhi in un periodo come questo, fatto di paure, ma fatto principalmente di precarietà ed insicurezza? Per carità, non è sicuramente la scusa per adagiarsi sugli allori, perché qualcosa si deve pur fare, ma non possiamo prendercela con loro, che, alla fine, non fanno altro che piangere le conseguenze sbagliate delle precedenti generazioni.

Lo so che quest’affermazione viene usata spesso come una sorta di panacea per giustificare ogni sorta di fallimento o polemica, ma a conti fatti non è un pensiero tanto distante dalla realtà: me ne sono accorto guardando un video, su YouTube, di un canale che seguo, gestito da un giovane giapponese che viaggia per il Giappone a bordo dei treni, raccontando non soltanto la perfezione e la precisione dei trasporti nipponici, ma la società in senso più lato. Attraverso quelle immagini mi accorgo di una sorta di mondo parallelo rispetto al nostro, dove i giovani lavorano, sono indipendenti, esattamente come i loro genitori, e le cose funzionano, e i trasporti sono in orario, ed esiste il rispetto, l’educazione, la speranza. Insomma: un mondo in cui le cose funzionano, ma funzionano veramente.

Per quale motivo, quindi, dovrei pensare che la colpa delle incertezze dei giovani sia da imputare a loro stessi, quando non stanno facendo altro che vivere quel mondo che i nostri genitori hanno creato? Un giovane, in fondo, cerca soltanto un appiglio a cui aggrapparsi, perché ieri, come oggi, a più di quarant’anni di distanza, “i giovani non hanno bisogno di sermoni: i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo.” (S. Pertini)

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