Il Tribunale di Palermo, con una sentenza di fine maggio 2023, ha condannato la Presidenza della Regione Siciliana al pagamento di circa 3milioni di euro a favore della curatela fallimentare di Sviluppo Italia Sicilia, una sua ex partecipata in house, acquisita per l’attrazione di investimenti nell’Isola, ma che si occupava anche di fornire diversi tipi di consulenze e di assistenza tecnica alla Regione.
Un parziale che si va a sommare ad un totale, purtroppo molto più corposo, di circa 20milioni di euro collegati alla “mala gestio” della società, da parte del suo socio unico: la Regione siciliana guidata, all’epoca, da Rosario Crocetta.
Nel particolare, con la recente sentenza, i giudici condannano gli amministratori ed il socio per una serie di carenze gestionali: la società non sarebbe stata messa nelle condizioni di poter lavorare a condizioni di mercato. Non solo, “al socio unico della Sviluppo Italia Sicilia S.p.A. – come si legge nell’atto emanato dal Tribunale – viene contestato da parte del fallimento attore di avere abusato del potere di direzione e coordinamento sulla società partecipata“.
Le ragioni del fallimento
“L’andamento fortemente negativo che ha caratterizzato la società nel corso degli anni – continuano i magistrati – si spiega e trova giustificazione nella rigida struttura di costi della stessa (e segnatamente nell’alta incidenza del costo relativo al personale), tale da non consentirle di coprire le uscite con le entrate e di raggiungere dunque l’obbiettivo dell’equilibrio di bilancio“. Costi che sono cresciuti negli anni, toccando un massimo di 3,55 milioni di euro nel 2008, quando si è assistito al trasferimento della totalità del capitale in capo alla Presidenza della Regione. In questo periodo infatti, nonostante i numeri negativi, sono stati assunti altri 35 lavoratori e un dirigente.
A fronte di questi costi, Sviluppo Italia Sicilia era divenuta nei fatti “fuori mercato” – spiega ancora la sentenza – nel senso che forniva alla Regione Siciliana gli stessi servizi di enti terzi ma ad un costo maggiore. Creando la situazione paradossale per alcuni Assessorati di doversi rivolgere altrove per contenere le spese.
“A tale problematica il socio unico avrebbe dovuto far fronte attraverso adeguate iniziative di tipo organizzativo e/o gestionale che andassero ben al di la dei versamenti in conto capitale effettuati per ripianare le significative perdite di esercizio registrate annualmente dalla SIS; versamenti i quali avevano quale unico effetto quello di ritardare – attraverso l’iniezione di risorse pubbliche, e quindi a carico della fiscalità generale – l’emersione del dissesto finanziario della società“, conclude il giudice.
Insomma, in altre parole, il governo Crocetta, ben consapevole di questa situazione, non avrebbe fatto nulla per ridurre questi costi (per esempio, il Tribunale suggerisce che si sarebbe potuto procedere ad alcune misure di contenimento della spesa, come un taglio del personale in misura ridotta) e, davanti alle perdite, avrebbe usato altre risorse con il solo effetto di ritardare il dissesto della società. Portando poi, però, al licenziamento di tutti e 75 i lavoratori.
La lite con la curatela
Nel corso del 2016, inoltre, quando il capitale sociale si è definitivamente azzerato la Regione Siciliana ha formalmente deliberato lo scioglimento anticipato della società e, contemporamente, con alcune “specifiche direttive impartite all’organo liquidatorio”, ha impedito “che si giungesse ad effettivo avvio
della fase liquidatoria attraverso l’attivazione delle procedure di licenziamento collettivo della società, in tal guisa facendo sostenere a questa ulteriori (innecessari) costi relativi al personale con aggravamento del dissesto patrimoniale complessivo“.