Sovraffollamento, disagi psichici, difficoltà a ricostruire una vita dopo il carcere. Sono diversi i problemi dei detenuti in Italia. In Sicilia, per la verità, dagli ultimi dati messi a disposizione dal ministero della Giustizia, risultano 6.070 detenuti in cella contro i 6.448 posti disponibili negli istituti penitenziari dell’Isola.
“I dati vanno letti in maniera più analitica e con riferimento ai singoli istituti”, fa notare il Garante per la Sicilia dei diritti delle persone private della libertà personale, Santi Consolo, nominato a maggio del 2023: “Bisogna considerare anche quei posti che allo stato attuale non sono disponibili, per la fatiscenza e l’inagibilità di alcuni ambienti. In altri casi, invece, i detenuti non potrebbero essere distribuiti per il pernottamento in modo uniforme in tutte le stanze. Infatti, alcune stanze potrebbero essere destinate a un singolo detenuto, per ragioni disciplinari, per l’appartenenza a uno specifico circuito, oppure per ragioni sanitarie. Ciò comporta in modo non indifferente il sovraffollamento, in parte, degli istituti”.
Un esempio?
L’istituto di Augusta, che ho visitato subito dopo il mio insediamento a maggio, presentava un tasso di sovraffollamento nettamente superiore alla media nazionale. Il problema in generale, però, non è soltanto il sovraffollamento, bensì soprattutto le offerte trattamentali che si riescono a dare all’esterno delle stanze nell’arco della giornata.
Le categorie fragili come vivono la permanenza in carcere?
Per categorie fragili bisogna considerare non soltanto le donne e gli stranieri, ma soprattutto coloro che hanno difficoltà personali ad adattarsi ad un sistema di restrizione della libertà personale. In particolare, oggi in tutti gli istituti di pena vi è un’altissima percentuale di persone che accusano dei forti disagi mentali e anche di tossicodipendenti. Purtroppo, sono queste persone che spesso reagiscono alle restrizioni in modo inconsulto e incontrollabile. Per questo, spesso finiscono per patire anche sanzioni disciplinari, compromettendo così i programmi rieducativi.
A proposito di programmi rieducativi, è adeguato il numero di progetti attivi?
La cassa dell’ammenda per la Sicilia ha stanziato nel triennio due milioni all’anno per corsi di formazione per i detenuti, ma queste somme devono essere integrate anche dalla Regione con 600 mila euro l’anno. Dopo un’interlocuzione avuta col provveditore e con l’assessore competente, abbiamo promosso una verifica negli istituti e sono stati individuati i corsi per l’acquisizione delle singole abilità specifiche che i detenuti vogliono seguire. La cosa più importante, però, in esito al censimento ben 800 detenuti si sono dichiarati disponibili a partecipare a questi corsi. Spero, dunque, che questi corsi vengano avviati quanto prima, per poter consentire a queste persone di acquisire capacità lavorative che agevolerebbero il loro reinserimento sociale.
Perché sono così importanti questi corsi di formazione?
L’elemento principe della risocializzazione è l’abitudine al lavoro: la soddisfazione che deriva dal lavoro, potendo trarne anche un vantaggio economico tramite una giusta retribuzione. Per questo, più volte ho sollecitato un aumento dei capitoli di spesa, per poter implementare il lavoro dei detenuti all’interno degli istituti. L’obiettivo è duplice. Da un lato, si migliorerebbero le strutture. Dall’altro, si renderebbe più serena e proficua la permanenza in carcere. È quello che un tempo chiamavo ‘carcere utile’.
Ci sono abbastanza psicologi a dare supporto ai detenuti?
Per quel che riguarda il personale, le carenze si registrano in tutte le categorie. Vi sono carenze notevoli e a volte in alcuni istituti anche abbastanza allarmanti per quel che riguarda la polizia penitenziaria, ma non solo. Gravi carenze anche per quanto riguarda i dirigenti degli istituti. Ad esempio, l’Ucciardone di Palermo ha un direttore che deve reggere anche l’istituto di Trapani. Tra i vice direttori, molti devono reggere “a scavalco” altri istituti, come Favignana, Sciacca e Agrigento, quest’ultimo molto importante. Notevoli carenze si registrano pure nel settore degli assistenti sociali, degli educatori, degli psicologi e degli psichiatri. Ciò compromette i progetti trattamentali e, soprattutto, la tempestività del reinserimento sociale dei detenuti. Basti pensare alle difficoltà nel redigere le relazioni per poter accedere alle misure alternative, o ai gravi disagi di tipo psichico e psicologico oggi diffusissimi negli istituti.
Il ministro Nordio ha di recente dichiarato di voler prendere in considerazione l’utilizzo di vecchie caserme dismesse per contrastare il sovraffollamento. È questa la migliore alternativa a disposizione?
Questa è una proposta che periodicamente si ripete, con Governi di ogni schieramento politico. Io ritengo che prima di avviare delle modifiche di questo tipo bisognerebbe fare una ricognizione seria. È necessario individuare quali caserme vanno realmente recuperate. Se sono fatiscenti, abbandonate da moltissimo tempo, forse le spese per riadattarle sono nettamente superiori a quelle che servono per costruire nuove strutture. Poi, bisogna anche capire per quali finalità queste caserme devono essere utilizzate. Se devono essere utilizzate come surrogati degli istituti penitenziari, secondo me tale proposta non è valida.
Perché?
Perché gli istituti penitenziari necessitano di ambienti per fini trattamentali, con strutture che sono del tutto diverse da quelle che sono presenti nelle caserme. Se, invece, le caserme dismesse devono essere utilizzate per consentire ai detenuti di accedere a misure alternative come anche la detenzione domiciliare e, quindi, sono state scelte per essere un’opportunità per quei detenuti che non hanno un’abitazione di riferimento, allora l’ipotesi è praticabile. Però, ripeto, non si può parlare in astratto. Bisogna analizzare ciascuna struttura.
La sua nomina a Garante dei detenuti in Sicilia è avvenuta poco prima di quella di Pino Apprendi a Palermo, dopo un’attesa durata anni. Quali altri Comuni siciliani devono ancora trovare il proprio garante?
La risposta la posso dare a contrario. Gli unici comuni in Sicilia che sono anche sede di un istituto penitenziario ad aver nominato il proprio garante sono Palermo e Siracusa. Di recente, su richiesta dell’assessorato competente, per rispondere a un’interrogazione che era stata fatta a livello regionale, ho espresso un parere circa i criteri, i princìpi e le linee-guida per le nomine, che sono riservate alla competenza dei Comuni stessi. Devono essere in ogni caso personalità di prestigio e, soprattutto, persone affidabili sotto ogni profilo.