“Il maltempo dello scorso febbraio ha causato solo nel territorio nisseno, in particolare a Caltanissetta, Gela, Mazzarino e Niscemi, danni a strutture, a infrastrutture, alle scorte e alle produzioni. Colpite anche le colture. Acqua e vento hanno danneggiato stradelle aziendali, prospetti e coperture dei fabbricati rurali, arnie di alveari, canali di scolo e recinzioni. I danni alle produzioni agricole sono stati quantificati in oltre 1,8 milioni di euro, mentre quelle alle strutture aziendali in 2,2 milioni di euro”. Lo riporta il sito ufficiale della Regione Siciliana.
Mesi dopo è arrivata l’estate e con essa anche il caldo e gli incendi che, come ha dichiarato alla stampa Coldiretti Sicilia, “hanno danneggiato aziende agricole, distrutto migliaia di ettari di bosco, ridotto in cenere chilometri di macchia mediterranea”. Danni per i quali bisognerà pagare e forse un semplice risarcimento non sarà sufficiente.
Oltre ai pascoli, infatti, a bruciare sono stati anche i cumuli di rifiuti in tutta la città, fino all’agghiacciante spettacolo che ha visto come protagonista la discarica di Bellolampo.
Con i livelli di diossina alle stelle, l’Asp ha instituito una task force con l’obiettivo di monitorare anche lo stato di salute degli allevamenti. La diossina, infatti, “non è pericolosa per la respirazione, ma per l’ingestione. Se si deposita nel terreno può entrare nella catena alimentare e compromettere così ortaggi, latte e carne“.
“Con i pascoli distrutti i costi di gestione sono aumentati vertiginosamente”. Ci spiega Carmelo Galati, vicepresidente dell’Unione Allevatori Sicilia. “Tra incendi, siccità e alluvioni il nostro settore è messo costantemente in crisi e come se tutte queste calamità non bastassero, non possiamo neanche dimenticarci del costante disagio provocato dai cinghiali”.
“Favorendo delle numerose zone protette presenti in Sicilia e della mancanza di predatori naturali, questi animali hanno proliferato incontrastati – continua Galati –. Non sono stati solo l’ennesima calamità responsabile della distruzione dei pascoli, ma sono anche vettori della peste suina”.
La malattia, temutissima da tutti gli allevatori, è solo l’ennesima piaga che si abbatte su uno scenario già gravemente compromesso. Brucellosi e tubercolosi continuano a dilagare in Sicilia. “Bovini e caprini sono particolarmente soggetti a contrarre simili malattie e questo porta al conseguente abbattimento degli animali”. Tutto ciò, continua Carmelo Galati, “ha un costo notevole, perché gli allevatori, semestralmente sottoposti ai controlli da parte dell’Asl, si ritrovano spesso costretti ad abbattere gli animali che contraggono la malattia”. In questa maniera gli allevamenti si ridimensionano sempre più e con meno animali gli allevatori racimolano anche meno incassi. Questo letale circolo vizioso però potrebbe facilmente essere interrotto, munendosi di un adeguato piano vaccinale.
Ma, come afferma anche Galati, “non c’è mai stata la volontà di eradicare tali malattie”. Ci si limita piuttosto a fornire gli allevatori di un indennizzo per ogni animale abbattuto, attingendo al Fondo sanitario nazionale, in base agli importi definiti dal Ministero della Salute. L’ironia della sorte vuole, però, che le analisi effettuate post mortem sugli animali, stabiliscono che la maggior parte di essi possano essere destinati all’uso alimentare, costringendo gli allevatori a vendere la carni ad un prezzo estremamente minorato.
Una cosa per Galati è certa: “C’è dell’interesse da parte di chi compra questa carne a costo zero, affinché la situazione rimanga così com’è”. Arrivare alla data di macellazione nel breve tempo possibile e con il minor costo possibile, appare essere la priorità a discapito di animali e allevatori.