Andare in mare è ormai un vero e proprio campo minato. E’ questa la parabola discendente che ormai da anni stanno vivendo le marinerie e i pescatori siciliani.
L’allarme lanciato da Angelo Tantillo, pescatore di Siracusa, è solo una delle tante “avventure” che ogni giorno lui e i colleghi sono costretti a vivere. Fenomeni che non riguardano la sola provincia siracusana o la sola Sicilia, ma l’intera Penisola.
Lo stop alla pesca a strascico, i controlli sempre più oppressivi imposti dell’Ue, l’estensione delle aree marine protette che ha ristretto nel tempo il raggio d’azione dei pescherecci e sempre più specie protette con limiti stringenti sulle catture. Sono alcuni dei vincoli che i lavoratori del settore devono affrontare. L’arrivo di specie aliene che ha messo in pericolo l’esistenza della fauna autoctona e il caro gasolio sono un ulteriore aggravante.
Lo scettro delle acque del Mediterraneo passa così in mano alle vicine marinerie di Tunisia, Libia o Egitto, tutti paesi che non sono chiamati a rispettare i vincoli che pesano su quelle europee. Il rischio si abbatte così sulla filiera ma anche sui consumatori, che potrebbero vedere sempre meno pesce fresco sulle nostre tavole.
La soluzione sarebbe trovare il giusto equilibrio tra i principi di sostenibilità e i diritti dei lavoratori ma soprattutto riuscire a stilare una serie di norme condivise da tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, impedendo così la concorrenza sleale delle altre flotte.