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L'udienza

Depistaggio Borsellino: al processo la parola passa alle parti civili

martedì 23 Aprile 2024

Parola alle parti civili oggi nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. Imputati tre esponenti della polizia di Stato: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra. Secondo la procura di Caltanissetta avrebbero costretto il falso pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulle stragi per fare condannare persone estranee ai fatti.

Nella scorsa udienza il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

“In Cosa nostra tutti parlavano del mandante esterno ma nessuno sapeva chi fosse. Sappiamo anche che Riina fece un patto con questa entità esterna. Che le due stragi del ’92 siano stragi di mafia è indiscutibile. E’ chiaro. Ma chi è questa mafia che agisce? Fu una nuova mafia diversamente composta con due componenti: una istituzionale e una mafiosa stragista. Quindi agiscono insieme. Dall’ideazione fino all’esecuzione. Il dottore Arnaldo La Barbera fece il lavoro che ha fatto per depistare le indagini e lo fa perché consapevole della presenza di una nuova forma associativa”. Lo ha detto l’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di parte civile di Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina e Gaetano Murana, (assolti nel processo di revisione per la strage di via D’Amelio) al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage del 19 luglio 1992 a Palermo, in cui furono uccisi Paolo Borsellino e 5 agenti della polizia di Stato, che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta da Giovanbattista Tona.

Arnaldo La Barbera era a capo del gruppo di indagine Falcone-Borsellino della Squadra Mobile di Palermo di cui facevano parte i tre esponenti della Polizia di Stato imputati nel processo.

“Mi associo ai sentiti, e non solo doverosi, ringraziamenti per come si è svolto il processo in secondo grado. Vorrei dare voce in questa sede al dottore Paolo Borsellino oltre che alle parti che rappresento. Perché tra i tanti frutti avvelenati di quello che è stato definito uno dei più gravi depistaggi della storia italiana vi è la verità della menzogna. Agevolata dalla sconcertante superficialità di tutti i magistrati della Procura allora guidata da Giovanni Tinebra”. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, parti civili nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio in corso a Caltanissetta dinanzi alla corte d’Appello.

“Questi magistrati – ha dichiarato Trizzino – hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità. Facendo macerie dei protocolli investigativi, della legge e della dignità delle persone che hanno sfortunatamente incrociato il loro percorso. Mi riferisco a coloro che hanno fatto il carcere ingiustamente ma anche a quei poveri disgraziati di tre collaboratori”.

“Le condotte dei pubblici ministeri si collocano al di fuori dell’errore fisiologico ma semmai esprimono il corto circuito di un sistema, lo sfacelo di un sistema, con effetti devastanti sul piano dell’immagine di un ordine giudiziario che non meritava tutto questo. E di cui il dottore Borsellino era uno dei più importanti esponenti. Quello stesso ordine giudiziario che però ha mostrato di raccogliere l’eredità morale di Paolo Borsellino. Perché deve essere chiaro che la quasi totalità dei magistrati di questo paese lavora in silenzio. Non avendo il tempo di scrivere libri e parlare in pubblico. E nei confronti di questi magistrati la nostra fede rimane incrollabile” ha aggiunto.

“Ancora oggi a distanza di ben 32 anni non sappiamo, al netto dell’agenda rossa, quali fascicoli, quali carte avesse nella borsa il dottore Paolo Borsellino”. Così continua l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, nel corso della sua discussione nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. “E cosa è avvenuto nell’ufficio del dottore Borsellino? Non sappiamo quali fascicoli ci fossero sulla sua scrivania. Non sappiamo – ha continuato Trizzino – per esempio se ci fossero dei fascicoli sugli appalti perché non abbiamo mai visto un verbale di sequestro dei documenti. Eppure Borsellino era uno che lavorava tanto. E ancora il dottore Borsellino viene ucciso alle 16.58. Sappiamo che i sigilli sono stati apposti alle 23.28 del 19 luglio 1992″.

Poi Trizzino riferendosi al falso pentito Vincenzo Scarantino, che secondo l’accusa sarebbe stato imbeccato dai tre poliziotti imputati per costruire una falsa verità sulle stragi, ha concluso: “Si è deciso di ‘scarantinizzare’ le indagini. Perché quel depistaggio non si può spiegare solo con qualcosa che riguarda Cosa Nostra. Come puoi pensare che lo Stato non reagisse? Ci si concentrava su Vincenzo Scarantino sui suoi sbalzi d’umore e non su elementi fondamentali delle indagini”.

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