Ha preso il via, al Teatro Massimo di Palermo, la seconda giornata di lavori per il 36esimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Presente all’evento anche il Ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha sottolineato: “L’indipendenza della magistratura giudicante e requirente è un principio non negoziabile. Una contiguità col potere esecutivo è inimmaginabile. Resta però il problema della separazione delle carriere“. E sull’accesso alla magistratura ha dichiarato: “Penso che saremo tutti d’accordo sul fatto che occorrano delle riforme che incentivino l’efficienza della giustizia. Per la prima volta abbiamo tre concorsi in via di definizione. Altri due sono stati appena definiti. Contiamo di colmare i vuoti della magistratura entro il 2026″
“Viviamo una forma di antagonismo tra poteri dello Stato. Ma la magistratura non vuole lo scontro, piuttosto rivendica il diritto dovere di svolgere la funzione di controllo della legalità nel perimetro tracciato dalla Costituzione“. Lo ha detto il presidente della corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca, aprendo la seduta. “I controlli vengono vissuti troppo spesso come ingerenza nelle attività del Governo, – ha aggiunto – ma i controlli hanno la funzione di garanzia dei cittadini. Non si comprende che si tratta di reati che ormai vedono sempre più protagonista Cosa nostra.
Il procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, a margine del congresso ha dichiarato: “Fino a quando non c’è un testo scritto su un’ipotesi di riforma della giustizia non sarà chiaro cosa si vuole fare. Quel che è certo è con i tanti problemi della giustizia non mi pare che la separazione delle carriere sia un tema fondamentale. I magistrati continuano a essere autonomi e indipendenti rispetto agli altri poteri e fanno il loro lavoro: possono sbagliare e in questo caso esistono i rimedi ma, fino a prova contraria, il loro lavoro è fatto per servire il paese“.
Sul tema delle decisioni secondo algoritmi è invece intervenuto Dario Greco, presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Palermo: “L’eccessivo ricorso a meri criteri aritmetici nella valutazione dei nostri giudici, che mette in primo piano la quantità e non certo la qualità della decisione giudiziaria, snatura il vero fine dell’esercizio della giurisdizione che deve restare sempre quello di fare e dare giustizia”.