Carissimi
Come si può guardare avanti quando non abbiamo mai chiuso i conti con il passato?
Questa domanda la riproporrei a tante situazioni di natura generale o personale. Ho sempre dato tanto importanza alla memoria, ma oggi mi rendo conto che questa sia rimasta patrimonio di pochi, quasi a giustificare l’andamento del gambero e la mancanza di una prospettiva di qualità, affidata a gente di testata qualità e non di costruita esperienza curricolare.
Vi fu un tempo in cui a dirigere stabilmente l’Orchestra Sinfonica Siciliana, oggi F.O.S.S. era un certo Sergiu Celibidache (Sergio per i locali, dal 1960-61) stabilitosi a Palermo, comprando casa a Lipari, prediletta nei momenti di riposo, che nei quasi venticinque anni della direzione porto l’orchestra al primo posto in Italia e tra le più grandi nel mondo.
Dicendo ciò faccio solo un esempio di eccellenza artistica in un campo a me molto vicino quale quello della musica classica, ma in molti campi vedevamo esercitare i “grandi” che a loro volta finivano per fare scuola.
La guerra era finita da quindi anni circa e noi quelli di “è importante che qualcosa cambi affinché tutto rimanga come prima” vivevamo il tutto con tanta naturalezza, poiché la cultura, non era una cosa per tutti ma per chi se lo poteva permettere, visto che l’Italia dei cappottoni come la chiamo io, usciva con le pezze al culo dalla guerra e lasciava in bella mostra le macerie del conflitto bellico quasi a dire, non le toccate, scappate anzi dal centro storico e lasciate i ruderi ai vostri servi, compratevi la casa in un nuovo e lussurioso stabile il “viale trasburgo”, magari al 14° piano dove c’è una bella vista e poco importa la promiscuità del sacco, siete in tanti a vivere in questi nuovi condomini che finirete per non incontrarvi mai.
Così si rinasceva, una casa per tutti, mentre i nobili rimasti nei loro polverosi palazzi, quelli rimasti in piedi, iniziavano a conoscere gli stenti repubblicani e qualcuno era costretto a conoscere la parola lavoro per sopravvivere e nascondeva il titolo e il doppio e triplo cognome.
Eravamo lontani dall’epoca in cui costoro si potevano trasformare in ristoratori e chiamare le antiche dimore location, guardando sempre con un certo distacco la plebaglia che usufruiva dei regali saloni sognando il matrimonio di nobili per una sera, mentre da nobili “tenutari” contavano nelle stanze dove si erano confinati, evocando tra i pochi beni rimastigli non pignorati, il vile denaro che non ungeva.
Si ricominciava da capo e magari quel garzone, al quale avevamo permesso l’uso di quel carretto del quale non ce ne facevamo nulla, era diventato, a furia di spostare macerie a pagamento, un grande costruttore.
Era l’epoca in cui le banche entravano in società con te dando mutui a chi decideva di comprare sulla carta appartamenti ancora da venire.
Sbagliammo, sbagliavamo e continuiamo a sbagliare perché siamo fatti così, prendiamo sempre ad esempio l’unico che è riuscito a fare successo tentandone l’emulazione, senza alcuna ricerca di originalita, perché siamo un popolo di copiatori, ma del peggio.
Oggi in uno dei momenti più bui della creatività, nella quale solo i mediocri e i pusillanimi si fanno spazio, invece di prendere esempio dalla fame che mosse nei secoli passati la creatività di artisti divenuti eterni, ci facciamo foraggiare con ammortizzatori sociali occultati come contributi, quasi a redditi di cittadinanza culturale, e quando cresciamo?
Più ci foraggiamo e più diventiamo arroganti e pretenziosi e più stringiamo il cerchio intorno a noi, con grande provincialità, per fare in modo che lo stagno si riduca ad una pozzanghera per rimanere il più ricco e il più bravo del nostro pianerottolo.
Si vi fu un tempo in cui Visconti girò qui il Gattopardo e li ci siamo fermati, avendolo tenuto prigioniero tanto da non farlo uscire da quel salone del grande ballo, divenuto fonte di sostentamento e simbolo per l’emulazione e la perpetrazione dell’ambizioni di una casta anacronistica.
Oggi siamo ritornati ad essere ancora più provinciali di quanto lo eravamo diventati nel dopoguerra, memori di una Palermo felicissima, ri-emulata ma mai più superata.
Dall’altra parte del mondo oggi c’è chi sogna di andare su Marte e qui, da questa parte, c’è chi non vede l’ora di afferrare una sedia camuluta di un polveroso palazzo e dire è mia, riappropriandosi di un passato e di fasti che non esistono più ed in ciò i mediocri pullulano e imperano, davanti a un sole che tramonta, e già.
Un abbraccio, Epruno