Il 29 novembre il Parlamento inglese voterà la proposta di legge in seconda lettura che, nell’intenzione della proponente, il membro del parlamento Kim Leadbeater, permetterebbe ai malati terminali con non più di sei mesi di vita restanti e nel pieno possesso delle loro facoltà mentali di porre un’immediata fine (meno di un mese dal momento della decisione) alla loro vita. Questo “private member bill” tocca temi essenziali di bioetica e, più in generale, temi di diritti umani e per tal motivo il dibattito è stato e continua a essere molto acceso fra i favorevoli e i contrari. Ma, al di fuori delle ragioni personali ed etiche, il vero problema di questa proposta di legge risiede proprio nel modo in cui essa è stata scritta.
La prima e più consistente opposizione è dovuta alla vaghezza dei requisiti richiesti per accedere alla procedura: malato terminale infatti verrebbe considerato chiunque soffra di una malattia, patologia o condizione medica progressive che non possa essere guarito tramite trattamenti medici e la cui morte a causa di esse sarebbe ragionevolmente ipotizzata entro sei mesi. Il che, in pratica, e per la legge inglese, è troppo vago, perché coprirebbe un numero di condizioni troppo vasto da un lato e dall’altro non sarebbe basato su una sicurezza, più o meno impossibile in medicina, di quale sia la reale aspettativa di vita: nessun medico può garantire con assoluta fermezza la data di decesso di un paziente. Inoltre, il rimando al segretario di stato per varie specifiche rende la scrittura dell’atto troppo vago, la legge poco chiara.
Inoltre, l’iter da seguire passerebbe attraverso il controllo di due dottori e di un giudice a cui spetterebbe la decisione finale. Ciascuna fase dell’iter necessiterebbe l’approvazione da parte di ogni preposto che includesse una valutazione delle facoltà mentali che, secondo quanto si evince dall’atto, non verrebbe controllato da uno specialista del settore. Questo varrebbe sia se la richiesta fosse avanzata dal paziente, sia che essa fosse firmata da un delegato; il che renderebbe la valutazione della reale volontà o capacità mentale piuttosto difficile da controllare, con la possibilità di aprire la strada a potenziali abusi. Il medico che dovrebbe accogliere la richiesta del paziente non potrebbe avere accesso ai pareri dei familiari, perché sotto obbligo di riservatezza. In aggiunta a ciò, per quel che riguarda il ruolo del giudice, la proposta non chiarisce quale sia il materiale a cui quest’ultimo avrebbe accesso per formulare la propria decisione: medico e paziente potrebbero essere interrogati, ma non c’è alcuna menzione riguardo al controllo su un’ipotetica forzatura o influenza sul paziente, dovendo quest’ultimo presentare i documenti da lui stesso scelti, cioè non si evidenzia la necessità di una valutazione medica oggettiva da dovere fornire. Per di più, la richiesta dovrebbe essere trattata da un giudice dell’Alta Corte, senza tuttavia che ne venga specificato grado o sezione, il che porterebbe in sé il potenziale di un carico di lavoro per il singolo giudicante tale da non permettere la dovuta approfondita analisi e tempo necessari per questo tipo di casi.
Infine, il terzo punto da considerare riguarda la procedura medica da seguire, anche qui poco definita. Infatti, la sostanza o il mix di sostanze che il paziente dovrebbe autonomamente ingerire non è inserita nell’atto, ma viene rimandata alla decisione, esterna, del Segretario di Stato. Viene brevemente toccata l’ipotesi di una possibilità di fallimento della procedura, cioè la persona potrebbe ingerire il preparato ma non ottenere l’effetto sperato e quindi non morire di conseguenza, ma non vengono ulteriormente approfonditi i possibili effetti di questo insuccesso: potrebbero esserci conseguenze sul paziente? Chi sarebbe responsabile di questo esito negativo? Verrebbe garantita al richiedente una seconda possibilità e se sì, quale sarebbe l’iter da seguire?
Questi alcuni dei punti sollevati contro la scrittura di questa proposta. Se la votazione da parte dei parlamentari la facesse passare, vari ancora saranno gli stadi di scrutinio che la proposta dovrà superare prima che possa diventare legge, possibilmente con emendamenti e specifiche che ne rendessero il testo più chiaro e completo. Diversamente, dovesse la votazione vedere un fallimento di questo testo, in Inghilterra e Galles la morte assistita resterà illegale fino a nuova proposta.