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Il caso

Agricoltura, Castiglione (FI): “Tutelare Bronte e il suo pistacchio”

sabato 7 Dicembre 2024

Lo scorso 30 novembre, durante la puntata di “Mi manda Rai Tre“, si è messa in dubbio la produzione e il buon nome del pistacchio di Bronte, ponendo discredito verso l’intera città e verso un prodotto considerato una vera e propria eccellenza mondiale.

Il conduttore e giornalista Federico Ruffo, si è lanciato in una provocazione che in molti non hanno digerito: “Mi dicono che il pistacchio di Bronte quasi non esiste più“. Una notizia falsa seguita da un’altra informazione errata, con la puntualizzazione di Sabrina Giannini, giornalista e conduttrice televisiva: «Bronte avrà mille abitanti e sembra che sia circondato dal pistacchio. Quando noi leggiamo nei gelati (durante la puntata si è discusso sulla differenza tra prodotti industriali e artigianali) “Pistacchio di Bronte” – aggiunge – dobbiamo sapere che vengono miscelati anche degli addensanti, degli emulsionati e io non posso sapere se quel gelataio ha preso un preparato industriale o no“.

La puntata ha prodotto notevoli polemiche, e a riguardo è intervenuto il deputato forzista Giuseppe Castiglione: “Ho presentato un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida per chiedere di tutelare il nome e la reputazione di Bronte e del suo pistacchio, eccellenza mondiale e marchio DOP riconosciuto e protetto”.

È accaduto infatti – spiega il parlamentare – che lo scorso 30 novembre nella trasmissione Mi Manda Rai Tre si sia messa in dubbio la produzione del pregiato pistacchio, giungendo persino ad ironizzare sulla città di Bronte stessa, incautamente definita ‘cittadina da meno di 1000 abitanti’. Questo non è tollerabile, e da brontese ho sentito il dovere di difendere, attraverso l’atto parlamentare, il buon nome e il lavoro delle migliaia di famiglie iscritte al Consorzio del Pistacchio Verde di Bronte, che nel 2023 hanno prodotto circa trentamila quintali nell’areale limitrofo all’Etna dei comuni di Bronte, Adrano e Biancavilla. La qualità del prodotto etneo – aggiunge – le sue tecniche di coltivazione, nonché la capacità imprenditoriale e commerciale dei nostri concittadini hanno favorito la nascita di imprese che lavorano, trasformano e commercializzano la materia prima, e il cui business complessivo è stimabile intorno ai cento milioni annui. Un indotto – conclude – di cui noi siamo fieri e che intendo difendere con forza da chi, senza alcuna conoscenza e competenza, pensa di gettare un’ombra sul lavoro e la fatica di migliaia di un’intera comunità“.

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