La crisi degli imperi. Polibio ci fornisce una lente per comprendere le dinamiche sociali ed economiche che portano una società al declino. Questo articolo esplora come la corruzione delle élite, il cinismo del popolo e l’ascesa della folla siano pattern che collegano la Roma antica al nostro presente.
Le Storie di Polibio diventano una guida per decifrare le proteste, la disillusione e la polarizzazione che caratterizzano la nostra era. Una riflessione sul legame indissolubile tra storia e attualità.

In questo ciclo di quattro articoli dedicato al pensiero dello storico greco del II secolo a.C esploriamo e studiamo il ripetersi dei cicli di crisi degli imperi, concentrandoci sui parallelismi tra la crisi della Repubblica romana e la nostra epoca, mostrando come la ricerca sfrenata del profitto e la perdita di valori siano i motori della degenerazione. Dalle crisi finanziarie alla protesta popolare, il pensiero di Polibio ci offre una chiave per interpretare il caos del XXI secolo.
Nel primo capitolo di questo ciclo, abbiamo gettato uno sguardo sulla teoria dell’anaciclosi di Polibio, applicandola alle istituzioni politiche nel Novecento e alla loro crescente degenerazione. Abbiamo visto come la sua analisi sul ciclo delle forme di governo – dalla monarchia alla tirannide, dall’aristocrazia all’oligarchia, e dalla democrazia all’oclocrazia – sembri riecheggiare nel declino di fiducia verso le democrazie occidentali.
Ma l’opera di Polibio non si ferma alla politica. Le “Storie” sono una lente per comprendere le forze sociali ed economiche che spingono un impero al suo culmine e, inevitabilmente, verso il suo tramonto.
In questo secondo articolo, ci addentriamo nelle dinamiche della società e dell’economia, unendo la riflessione antica dello storico greco con la cronaca del nostro presente. Dal crollo finanziario del 2008 alle proteste di massa che hanno infiammato piazze e social media, cercheremo i fili che collegano le crisi del passato con quelle del nostro tempo, amplificate da una tecnologia che Polibio non avrebbe mai potuto immaginare.
La domanda rimane la stessa: siamo di fronte a una nuova fase dell’anaciclosi, dove il “governo della massa” non si esprime solo nelle piazze, ma anche nel caos organizzato dei social media?
Le radici della crisi: l’eredità di Polibio e l’economia globale
Quando Polibio descrive il declino della Repubblica romana, non si limita a narrare battaglie e cambiamenti costituzionali. Nelle sue “Storie”, emerge una profonda preoccupazione per la corruzione e la smania di ricchezza che, a suo dire, avrebbero eroso le virtù civiche di Roma. Racconta di come le élite, una volta animate dallo spirito di servizio, venissero sopraffatte dall’avidità, diventando un cancro per l’intero sistema.
Un aneddoto esemplare riguarda Quinto Cecilio Metello che, pur vincendo la guerra contro Giugurta, finì per essere accusato di corruzione. Polibio sottolinea come la ricerca sfrenata del profitto e del potere personale da parte di pochi porti inevitabilmente al collasso del bene comune.

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Questo schema non è difficile da riconoscere nel nostro recente passato. La crisi finanziaria del 2008 non è stata un fulmine a ciel sereno, ma il culmine di anni di politiche economiche permissive e di una corruzione sistemica, ben oltre il semplice illecito. La bolla immobiliare, alimentata da mutui subprime e da prodotti finanziari opachi, è esplosa, trascinando l’economia globale nel baratro.
L’avidità di banchieri e speculatori, che si arricchivano con operazioni ad alto rischio senza subirne le conseguenze, ha mostrato al mondo che l’élite finanziaria si era allontanata anni luce dai principi etici che dovrebbero governare una società equa.
Quella che Polibio chiamava degenerazione morale è stata, in un certo senso, la causa principale della crisi.
La rabbia del popolo non si è fatta attendere. Nel 2011, il movimento Occupy Wall Street ha riempito le strade di New York, protestando contro “l’1%” che aveva causato il collasso economico a spese del “99%”. Sebbene non abbia prodotto cambiamenti politici immediati, il movimento ha segnato un punto di svolta. Ha trasformato la crisi economica in un atto di accusa sociale, unendo il malcontento per la disoccupazione e la precarietà con la rabbia per le ingiustizie finanziarie.
Il grido “siamo il 99%” è diventato un manifesto contro la corruzione e l’oligarchia, esattamente come Polibio avrebbe potuto prevedere.
Dalla piazza al web: la “folla” nell’era digitale
Per Polibio, la degenerazione della democrazia in oclocrazia era un fenomeno fisico, che si manifestava nelle assemblee tumultuose e nel dominio della folla. Ma cosa succede quando la “piazza” non è più solo uno spazio fisico, ma un’agorà virtuale, un luogo dove la folla si forma e si mobilita a una velocità e con una portata impensabili?
L’avvento di internet e dei social media ha rivoluzionato il modo in cui il dissenso si organizza. La Primavera Araba del 2011 ne è stato il primo, drammatico, esempio. Rivolte e manifestazioni in Egitto e Tunisia non sono state orchestrate da partiti o leader carismatici, ma si sono diffuse in modo virale attraverso Facebook e Twitter.
La folla digitale, una volta creata, ha riversato la sua rabbia nelle piazze reali, rovesciando governi autoritari che sembravano inamovibili. Polibio, pur senza conoscerla, avrebbe probabilmente visto in questa mobilitazione una forma di oclocrazia, dove la folla, seppur con un obiettivo lodevole, agisce senza una leadership strutturata, spesso in preda a un’ondata emotiva che può facilmente degenerare.
In Europa, nel 2011, il movimento degli “Indignados” in Spagna e le proteste in Grecia contro le politiche di austerità hanno mostrato la stessa dinamica. Non più solo un problema di élite finanziarie, ma la rabbia di una generazione che vedeva il proprio futuro svanire a causa di decisioni prese da tecnocrati lontani. Le manifestazioni venivano organizzate via social, con hashtag che diventavano il grido di battaglia di una folla disorganizzata ma unita dal malcontento.
Ancora più emblematico è il caso dei “Gilet Jaunes” in Francia, che a partire dal 2018 hanno messo in ginocchio il governo di Emmanuel Macron. Nati su Facebook in protesta contro un aumento delle tasse sul carburante, i Gilet Jaunes non avevano un leader, un manifesto politico o una struttura gerarchica.
Erano la personificazione della “folla digitale” di Polibio: un’onda di malcontento che si organizzava spontaneamente online e si manifestava con una violenza improvvisa e incontrollabile. Un movimento che ha messo a nudo la fragilità della democrazia moderna di fronte a un’oclocrazia che non risponde alle logiche tradizionali.
Le società in crisi e i “pattern” sociali e comportamentali: per comprendere il presente
Nel vasto affresco delle “Storie”, Polibio non si limita a narrare ascesa e declino di Roma. Il suo lavoro è un’indagine profonda sui meccanismi che governano il comportamento umano e sociale, specialmente nei momenti di crisi degli imperi. L’anaciclosi non è solo un ciclo di forme di governo, ma un riflesso della ciclicità della società stessa.
Nelle fasi di declino, Polibio descrive una serie di elementi che si ripetono con una regolarità impressionante: la corruzione delle élite, il cinismo e la disillusione del popolo, la perdita di valori morali e l’ascesa di una folla irrazionale.
Sono proprio questi i “pattern ripetitivi” che troviamo anche nel nostro presente, come se il tempo non avesse fatto altro che cambiare gli attori in scena.
La corruzione e la perdita di virtù.
Per Polibio, uno degli indicatori più chiari del declino di un impero è la perdita delle virtù civiche a favore dell’avidità e del lusso. Nel VI libro delle “Storie”, parlando del sistema di governo romano, Polibio osserva che finché la Repubblica si basava su valori di frugalità e senso del dovere, era forte. Ma quando la conquista portò ricchezza smisurata, l’élite cominciò a scivolare nella corruzione. I governatori delle province usavano il loro potere per arricchirsi, e il lusso sfrenato sostituiva la disciplina. Questo comportamento degenerato si diffuse a macchia d’olio, creando una società basata sull’interesse personale anziché sul bene comune.
Un aneddoto illuminante, sebbene non direttamente da Polibio ma da autori a lui vicini che descrivevano la stessa epoca, è il cambiamento nei banchetti e negli stili di vita dell’aristocrazia romana dopo le vittorie in Grecia e Cartagine. Se prima il patrizio romano viveva in modo sobrio e severo, dopo aver visto le ricchezze dei popoli conquistati, iniziò a desiderare il lusso, la stravaganza e a disprezzare la frugalità dei propri antenati. Questa trasformazione della morale individuale si rifletté inevitabilmente sulla moralità dello Stato.
Nel XXI secolo, questo schema è evidente. La crisi finanziaria del 2008, ad esempio, non fu solo un fallimento economico, ma un fallimento morale. Banchieri e dirigenti finanziari, guidati dall’avidità, si arricchirono con operazioni spericolate, sapendo di poter scaricare i rischi sull’intera società.

L’indignazione globale, espressa da movimenti come Occupy Wall Street, fu una reazione non solo alla perdita di denaro, ma alla sensazione che l’élite avesse tradito la fiducia del popolo. È lo stesso spirito di corruzione e immoralità che Polibio descrisse duemila anni fa.
Il cinismo e la disillusione del Popolo
Quando le élite diventano corrotte e i valori sociali si deteriorano, il popolo risponde con cinismo e disillusione. Polibio descrive questo fenomeno in modo magistrale: la folla, vedendo che non c’è più giustizia né merito, smette di credere nelle istituzioni e nel sistema. Non si aspetta più niente dalle classi dirigenti, se non l’inganno e la promessa vuota.
Un esempio di questa dinamica lo ritroviamo nella gestione delle rivolte servili, dove il popolo, stanco della propria condizione, non trova più speranza nelle istituzioni, ma solo in figure esterne o nella ribellione aperta. Le leggi, che dovrebbero garantire l’equità, diventano strumenti per mantenere il potere e la ricchezza di pochi.
Oggi, questa sfiducia è palpabile. Il crescente successo dei partiti populisti in Europa e negli Stati Uniti è il sintomo di una società che non crede più nei partiti tradizionali e nelle loro promesse. L’elevata astensione elettorale, in molti Paesi, riflette un sentimento di disillusione profonda: il cittadino medio ha la sensazione che il suo voto non conti e che la classe politica sia un’entità chiusa e autoreferenziale, incapace di risolvere i problemi reali.
La rabbia dei Gilet Jaunes in Francia o le recenti proteste in Europa contro l’inflazione e la crisi energetica non sono state solo reazioni a singole politiche, ma espressioni di un cinismo radicato verso un sistema percepito come ingiusto e corrotto.
L’ascesa dell’olocrazia e la demagogia
Il punto culminante di questo processo degenerativo, secondo Polibio, è l’ascesa dell’oclocrazia, il “governo della massa”. Non si tratta di una vera e propria democrazia, ma di una folla disorganizzata e instabile, guidata da leader demagoghi che promettono soluzioni semplici a problemi complessi. Questi leader non si appellano alla ragione, ma alle passioni e agli istinti primari: la rabbia, la paura, il risentimento.
Nelle sue “Storie”, Polibio descrive come la democrazia ateniese, nella sua fase finale, divenne un’oclocrazia, dove la folla prendeva decisioni irrazionali guidata da oratori privi di scrupoli. Le decisioni venivano prese in base all’umore del giorno, e non in base alla ragione o alla giustizia.
Nel nostro mondo, si manifesta in modo diffuso e, a volte, sottile. L’uso dei social media ha creato un’agorà virtuale dove la folla si forma e si scioglie in tempo reale, guidata da hashtag e post virali. La polarizzazione del dibattito, le fake news e la costante ricerca del consenso a breve termine sono tutti sintomi di questa dinamica.
La folla digitale, come quella descritta da Polibio, è facilmente manipolabile e pronta a ribellarsi contro le élite, anche se non ha una visione chiara del futuro. Le proteste della “Generazione Z” in Nepal o in Thailandia contro l’autorità, pur avendo ragioni legittime, mostrano un elemento di questo caos: una rabbia che si esprime senza una leadership stabile, e che rischia di essere strumentalizzata.
La spirale della crisi: dal malcontento locale alla protesta globale
Negli ultimi anni, la spirale del malcontento non si è fermata, ma ha acquisito nuove forme, legate a contesti geopolitici più complessi. Le proteste in Europa dal 2022 al 2025 hanno spesso unito la rabbia per l’inflazione e la crisi energetica con una profonda sfiducia verso la leadership. La guerra in Ucraina e il conflitto a Gaza, in particolare, hanno agito da catalizzatori, polarizzando le società.
Le manifestazioni pro-Ucraina o pro-Gaza sono diventate il banco di prova per l’oclocrazia: una società divisa in fazioni, dove il dialogo razionale è impossibile e le opinioni si radicalizzano. Le proteste studentesche in diverse università europee e americane ne sono un esempio lampante, con gruppi che si scontrano in nome di una causa, spesso guidati più dall’emotività che da una chiara visione politica.
Ma l’anaciclosi si manifesta anche al di fuori dell’Occidente. Le proteste in Asia tra il 2022 e il 2025 hanno mostrato una crisi profonda. In Sri Lanka (2022), la rabbia per il collasso economico ha spinto la folla a invadere e occupare i palazzi del potere, costringendo il presidente a fuggire.
È stato uno dei più evidenti esempi di oclocrazia: il popolo che, esasperato, prende direttamente il controllo. Le successive proteste in Indonesia, Thailandia e, più di recente, in Nepal, hanno dimostrato che il malcontento sociale, alimentato dalla disoccupazione, dall’inflazione e dalla richiesta di maggiore libertà, non è un fenomeno isolato, ma una costante che attraversa il mondo.
Il fattore tecnologico: l’intelligenza artificiale e la manipolazione
Polibio basava la sua analisi non solo su eventi, ma anche sulla natura umana e sulla sua tendenza alla corruzione e alle passioni. L’oclocrazia moderna, tuttavia, ha un alleato che lo storico greco non avrebbe mai potuto concepire: la tecnologia.
L’avvento di internet, dei social media e dell’intelligenza artificiale ha trasformato la folla in un’entità manipolabile e amplificabile. Gli algoritmi dei social media, creando “camere dell’eco”, isolano le persone in bolle di pensiero dove le loro convinzioni vengono costantemente rafforzate. Ciò porta a una polarizzazione estrema, dove non esiste più un terreno comune per il dialogo.
La disinformazione e le fake news, diffuse da account automatizzati o da attori malintenzionati, erodono la fiducia nelle istituzioni e nelle fonti di informazione tradizionali. Il referendum sulla Brexit (2016) e le elezioni presidenziali negli USA (2016), con l’influenza di scandali come quello di Cambridge Analytica, hanno mostrato in modo inequivocabile come l’oclocrazia possa essere non solo spontanea, ma anche manovrata.
Le recenti proteste globali, dal movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti alle manifestazioni anti-vax, dimostrano come la tecnologia possa radicalizzare e organizzare la folla con una velocità e una precisione spaventose. Siamo di fronte a una forma di oclocrazia in cui la folla non si governa più da sola, ma è guidata, spesso inconsapevolmente, da poteri esterni che ne influenzano le passioni e i risentimenti.
Il futuro? Nuovo autoritarismo od opportunità (dalle crisi)
La riflessione di Polibio ci porta a una conclusione inquietante: i cicli storici non sono interrotti, ma hanno solo cambiato il loro campo d’azione. Le crisi sociali ed economiche che stiamo vivendo, amplificate dalla tecnologia, sono manifestazioni della stessa dinamica che ha portato alla caduta degli imperi del passato.
L’oclocrazia digitale non è la fine, ma un passaggio, che potrebbe portare a un nuovo tipo di autoritarismo, non più basato solo sulla forza bruta, ma sul controllo della narrativa digitale.

L’opera di Polibio è un avviso e, allo stesso tempo, una chiave di lettura. Ci insegna che le élite devono riconquistare la fiducia del popolo, non con promesse vuote, ma con una leadership etica e lungimirante. Ci ricorda che la corruzione e l’avidità sono il germe che infetta il sistema dall’interno, e che una società divisa e manipolata è la prima candidata al collasso.
La domanda che ci rimane è se siamo in grado di imparare da questa storia antica per evitare che i cicli si ripetano, in un mondo in cui ogni crisi locale ha effetti globali.