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Gentiluomini

Galantuomo, diventò parola d’offesa

domenica 5 Ottobre 2025

Carissimi

Ci fu un tempo in cui “Galantuomo” non era una parola d’offesa.

In un’epoca in cui viene consigliato a “cu è fissa di starisi a casa”, l’appellativo “galantuomo” è sintomo di antico e perdente.

Sono lontano i tempi, come li chiamo io, dei “cappottoni grigi e sarciti”, del cappello borsalino e di quel vestito, unico, con la camicia sempre linda e stirata ma con il colletto che mostrava tutta la sua età che accompagnava l’uomo al lavoro e soprattutto sono lontani gli effluvi di quei profumi forti di “lavanda Cannavale” o del mitico Brylcreem antesignano dei gel dei giovani d’oggi che impiastricciava i capelli e li teneva fermi (quei pochi rimasti), per non parlare dei baffetti, sintomo inconfondibile di virilità.

Non esiste più nulla di quanto sopra se non in quelle foto in bianco e nero che spesso vengono postate sui social, sempre più cimiteri viventi, in occasione delle ricorrenze.

Eppure, costoro ne avevano viste tante, erano i figli della guerra, avevano giurato che ciò che era accaduto a loro non sarebbe dovuto succedere ai loro figli e avevano messo in piedi un mondo con delle semplici regole, da gentiluomini.

È vero quindi che il libro dei nostri ricordi è pieno di tante figure che oggi sembrano gigantesche a confronto con ciò che c’è piedi, piedi.

Ma cosa è successo, perché l’individuo ha progressivamente perso la dignità? Perché la parola data non conta più nulla? Perché la qualità e il merito non vengono più prese in considerazione se non per sbandierarlo come ipotetico punto di conquista di programmi elettorali e come tale già farlocco in partenza?

Dov’è il rispetto per il prossimo? Dov’è la rispettosa competizione?

Sento parlare di guerra come se fosse un naturale e non evitabile accadimento. Ma siamo impazziti?

Giocavamo anche noi, competevamo anche noi, ce le davamo di santa ragione anche con qualche digressione (piccola scorrettezza) quando l’arbitro o controllore di turno voltava lo sguardo, ma alla fine della fiera ci si rialzava e ci si stringeva la mano.

Ho ammirato tanti avversari, non ne ho odiato nessuno, di qualcuno ne ho preso spunto per migliorarmi, ho cercato modelli nel diverso da me, nell’opposto da me, nel migliore di me per tornare a concentrami sulle mie gambe e riprendere a “correre” per batterlo, ma non gli ho mai mancato di rispetto ne tanto meno desiderato di sopprimerlo per averla vinta, perché così era giusto e son voluto rimanere , pure a costo di perdere quando mi è stata proposta la vendita di una “squallida” vittoria perché con o senza Brylcreem, quando non ne resterà nulla di me, come “galantuomo” voglio esser ricordato, anche a costo di passare come antico.

I miti della mia generazione avevano folti capelli lunghi e suonavano a torso nudo nei concerti, oggi chi sopravvive continua a suonare, ha i capelli corti o forse non ha più, ma sta attento a tenere la camicia chiusa sotto la giacca perché il medico gli ha consigliato così e non ci sono fasce elastiche che tengono.

Dico ciò perché i grandi (o i vecchi) passano sempre per “vecchi tromboni” che “sentendosi come Gesù nel tempio danno consigli non potendo più dare il cattivo esempio” e invece hanno sbagliato e fatto errori o se la sono spassata come fanno sempre i giovani, anche quelli di oggi, ma si sono dati dei limiti, qualche regola, poche in verità, ma tali da sconfinare nella vita adulta potendosi costruire una vita, mettersi la giacca e la cravatta se è il caso, o ricostruirsi una verginità, senza aver prima compromesso irrimediabilmente tutto.

Quello che vedo oggi, non è diverso da quello ho visto quaranta anni fa e oltre, non è diverso da quello che hanno visto i sessantottini, i nostri “compagni di scuola che sono finiti per entrare in banca” che hanno contestato la guerra del Vietnam, che hanno desiderato ancor prima di Miss Italia, la pace nel mondo, ecco perché non mi preoccupano i cortei o le flottiglie, ma mi preoccupano coloro che con l’animaccia scura si infiltrano e tentano di orientare le circostanze verso odio e desiderio di guerra non per difendere oppressi (e nobili ideali), o “arsura di vendetta”, ma per alimentare i grandi interessi economici di chi sta dietro le quinte di questo gioco più grande di noi.

E allora, mi auguro che, se non ve ne siano rimasti, almeno rimanga il “tempo galantuomo”.

Un abbraccio, Epruno.

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