Di Victor Di Maria, giuscommercialista- Revisore legale
Il nuovo Decreto-Legge 146 del 3 ottobre 2025, in vigore, annuncia una stagione di semplificazioni nell’ingresso e nell’assunzione dei lavoratori stranieri. Ma, letta con attenzione, la norma rivela ombre che rischiano di compromettere gli stessi obiettivi di efficienza amministrativa e trasparenza che si propone.
Il decreto fissa a 60 giorni il termine per il rilascio del nulla osta, calcolato però non più dalla presentazione della domanda, ma dalla sua imputazione alle quote d’ingresso: una modifica apparentemente tecnica che, nella pratica, potrebbe prolungare i tempi e generare incertezza sulle decorrenze.
La precompilazione telematica delle richieste, attraverso il portale del Ministero dell’Interno, mira a velocizzare l’iter ma rischia di trasformarsi in un nuovo “click day” – la procedura informatica in cui le domande vengono accettate in base all’ordine cronologico – con il consueto sovraccarico di sistema e disparità di accesso tra chi dispone di strutture organizzate e chi no.
Il limite di tre domande all’anno per datore di lavoro “privato” rappresenta un ulteriore punto critico: la norma consente di superarlo solo avvalendosi di organizzazioni datoriali o consulenti del lavoro abilitati (ai sensi della legge n. 12/1979).
Un meccanismo che, pur volto a garantire correttezza procedurale, penalizza le microimprese non assistite da intermediari qualificati, accentuando le distanze tra chi può permettersi consulenza e chi no.
Positiva, almeno sul piano della razionalità giuridica, l’apertura al lavoro in attesa della conversione del permesso di soggiorno.
Tuttavia, la disposizione trasferisce sul datore il rischio di un eventuale diniego sopravvenuto, con conseguenze operative e sanzionatorie tutt’altro che marginali.
Infine, la proroga fino al 2028 dell’assunzione “fuori quota” di lavoratori domestici (colf e badanti), limitata a 10.000 ingressi annui, risponde a un bisogno reale di assistenza per anziani e disabili, ma lascia irrisolto il tema strutturale della formazione e della tutela contrattuale in un comparto ancora precario.
Un decreto che promette snellezza, ma che senza linee guida chiare, tempi certi e garanzie per i datori diligenti, rischia di rimanere un’altra riforma dal respiro corto: pensata per accelerare, ma destinata a inciampare nella burocrazia che voleva superare.