“Finita questa requisitoria trasmetteremo gli atti perché si proceda per falsa testimonianza nei confronti di una serie di magistrati, avvocati, amministratori giudiziari, coadiutori e alcuni di coloro che hanno fatto da testimoni in questo processo“. Lo ha detto il Pm Maurizio Bonaccorso, nel corso della requisitoria del processo al cosiddetto “Sistema Saguto”, l’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo accusato di una gestione disinvolta nella nomina degli amministratori dei beni confiscati.
L’accusa, sostenuta in aula anche dal Pm Claudia Pasciutti, ha preannunciato la richiesta alla fine della requisitoria di “pene molto severe – ha detto Bonaccorso -, non esemplari perché le pene esemplari non fanno parte della nostra cultura giuridica, ma adeguate alla gravità dei reati contestati”.
Tremano dunque gli amici del cosiddetto “cerchio magico” della Saguto, radiata definitivamente dalla magistratura.
Durissimo l’affondo del pm Bonaccorso: “Questo è stato definito erroneamente il processo all’antimafia ma è solo il processo a carico di alcuni pubblici ufficiali che hanno tradito la loro funzione pubblica per interessi privati”. Comincia così la requisitoria all’aula Bunker di Caltanissetta. “Dobbiamo riconoscere che gli imputati hanno svolto un ruolo di contrasto nella lotta alla mafia – ha aggiunto Bonaccorso – ma aver fatto l’antimafia non dava una sorta di ‘licenza di uccidere’, una ‘licenza a delinquere’. Non si può consentire di mortificare la funzione di magistrato con attività predatorie”. E ancora: “Non credano gli indiziati di mafia che hanno avuto i beni confiscati, di rifarsi una verginità con questo processo, non ci sarà alcuna riabilitazione per loro”.
Quindici gli imputati nel processo. Sotto accusa, oltre a Silvana Saguto, ci sono il padre, Vittorio Saguto, il marito Lorenzo Caramma e il figlio Emanuele, gli amministratori giudiziari Gaetano Cappellano Seminara, Walter Virga, Aulo Gigante e Nicola Santangelo, il colonnello della Dia Rosolino Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, la moglie e la collaboratrice di Provenzano, Maria Ingrao e Calogera Manta, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, l’ex giudice della sezione misure di prevenzione Lorenzo Chiaramonte. Gli imputati sono accusati di aver gestito in maniera disinvolta i beni confiscati alla mafia.
L’AUTODIFESA DELLA SAGUTO: “Mai contatti con Virga”
“Vorrei partire dalle modifiche dei capi di imputazione. Non c’è una conversazione, una frase, o un rapporto con il dottore Tommaso Virga. L’ho incontrato rare volte andando a messa e neanche mi ricordavo il nome tanto che lo chiamavo Antonio. Quindi quale potrebbe essere l’interesse di nominare il figlio?”. Lo ha detto questa mattina Silvana Saguto, nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.
“Ho portato la famosa agendina – ha continuato Saguto – di cui tanto si è parlato. Non l’ho prodotta soltanto per evitare ulteriori gossip. Sono tutte le persone che mi annotavo come persone di fiducia, brave, che già si erano occupate di attività simili. Ma Tommaso Virga non mi ha manifestato questa intenzione. L’unica cosa che mi ha manifestato è stato che ci ha pregato di toglierlo. L’unica volta in cui ho parlato con Tommaso Virga di suo figlio è quando mi ha detto per favore fatelo dimettere. Io lo definisco un ragazzino da niente perché non ha retto l’impatto mediatico che tutti gli altri avevamo retto”. Il processo ha avuto inizio il 22 gennaio del 2018, le udienze previste per le discussioni proseguiranno fino ad aprile.
“CON RAPPA NON C’ENTRO NULLA”
“Io di Rappa ho saputo soltanto da Fabio Licata che aveva avuto una lettera di encomio da parte della concessionaria che avevano aumentato le vendite. E basta. Io con Rappa non c’entro nulla“. Ha aggiunto Silvana Saguto, rendendo dichiarazioni spontanee. Vincenzo Corrado Rappa, nipote dello storico costruttore palermitano a cui è stato sequestrato e poi parzialmente restituito un patrimonio milionario, nel processo si è costituito parte civile contro Walter Virga. “Più volte – ha continuato Saguto – ho avuto contestato di essere stata l’artefice di provvedimenti. I provvedimenti giudiziari si fanno in tre. Non avevo degli sprovveduti accanto. Tutte le persone che portavano un curriculum avevo interesse a nominarli considerato che li vagliavamo in tre? Io motivavo i decreti, erano corposi”.
“DA PARTE MIA MASSIMA DILIGENZA”
“Io ho dato tutto quello che ho potuto e ho gestito con il massimo della diligenza possibile. Gli errori sono sempre possibili”. Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, protagonista principale del processo sul cosiddetto Sistema Saguto, ha concluso con queste parole le sue dichiarazioni spontanee rese stamane nel corso dell’udienza all’aula bunker di Caltanissetta.
“Mi è capitato una volta di nominare un perito nuovo: un ragazzo – ha ricordato -, che stando a quanto mi era stato detto quella perizia non la sapeva fare. E quindi informalmente ho incaricato un’altra persona. Quello che noi guardavamo era il buon andamento generale e comunque nel massimo della trasparenza. I miei provvedimenti sono tutti motivati. Quella che non motivava mai era la dottoressa Claudia Rosini. Quelli sì erano quasi monocratici. Anche se la Rosini si erge e dice di mostrarsi dispiaciuta del lavoro che svolgevamo, il marito aveva tre incarichi. E’ rimasto fino a quando io me ne sono andata”.
“SONO INNOCENTE, LA PROVA È LA MIA AGENDA”
“L’accusa sostiene che con questa agenda blu io voglio sostenere che sono tutti colpevoli, io invece l’ho esibita per provare che sono innocente”. Così ha proseguito la Saguto in aula, riferendosi all’agenda nella quale l’ex giudice, radiato dalla magistratura, ha conservato i bigliettini da visita di colleghi che le avevano segnalato i nomi di persone da nominare come amministratori giudiziari.
L’imputata non ha ritenuto di dovere consegnare l’agenda, come invece ha sollecitato il Pm Maurizio Bonaccorso, protagonista di un acceso diverbio con il difensore della Saguto.
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