Dopo le pesanti accuse di ieri (LEGGI QUI) del magistrato in pensione Ilda Boccassini, che definì Gioacchino Genchi un uomo “pericoloso per le istituzioni” perché “vedeva complotti e depistaggi ovunque”, oggi l’avvocato Genchi passa al contrattacco.
I fatti sembrerebbero dargli ragione, dato che proprio la sentenza del Borsellino quater su Via D’Amelio parlò di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“.
In un’intervista pubblicata oggi da Il Fatto Quotidiano, l’ex poliziotto ed ex consulente informatico della Procura di Caltanissetta sulle stragi mafiose, dice: «Piuttosto che infangare l’onorabilità di persone perbene Ilda Boccassini farebbe bene a riflettere sul suo passato e chiedere scusa alle istituzioni per i suoi errori, se non altro per rispetto nei confronti di Giovanni Falcone del quale sosteneva di essere amica, anche se, invero, nei tabulati dei suoi cellulari non ho trovato nemmeno il frammento di una sola telefonata con lei dai primi mesi del 1990 fino al 23 maggio 1992».
Genchi poi smonterebbe un’altra dichiarazione fatta ieri dalla Boccassini, che disse che lui fu cacciato dal gruppo di indagine Falcone e Borsellino (“non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato”). Eppure sembrerebbe che le cose non siano andate così: «Io non sono mai stato cacciato e c’è una lettera che lo dimostra, inviata da Boccassini e Sajeva dopo che Arnaldo La Barbera aveva diffuso la voce che avevo abbandonato le indagini per “motivi di sicurezza”. Nella lettera i due pm comunicano a Tinebra di essere “sorpresi” della mia decisione, perché avevo mostrato di essere “ben consapevole dell’onere e dei rischi dell’indagine”. In realtà io sono andato via per non avere voluto partecipare ai depistaggi delle indagini che La Barbera sia apprestava a compiere… La Barbera che lei e solo lei aveva accreditato fino al punto da renderlo insostituibile nelle indagini di tutte e due le stragi».
E poi ribadisce le accuse – già dette ieri – sulla cosiddetta pista americana: «Ilda Boccassini, all’epoca in cui era pm a Caltanissetta, dopo avermi richiesto ed autorizzato ad analizzare i computer e i dispositivi informatici di Giovanni Falcone, oltre che ad acquisire i tabulati delle sue utenze cellulari, non mi ha consentito di verificare dalle sue carte di credito l’effettiva trasferta in America alla fine di aprile del 1992, che Falcone aveva scrupolosamente annotato nel suo databank Casio, che delle manine di Stato (su cui la Boccassini non volle mai indagare) avevano provveduto a cancellare».
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