Una golosa come la vostra Patti Holmes, in occasione del Dantedì, la giornata dedicata al Sommo Poeta, non poteva esimersi dallo scrivere di colui che viene descritto come “inappetente” o, comunque, “non amante del cibo“, tanto da usarlo, spesso, come metafora, spesso negativa, per trattare argomenti altri. In realtà, però, riflettendoci, la vostra indagatrice, da piccola, era una “Dantina” in quanto si rifiutava ostinatamente di mangiare; ma la “diritta via” per alcuni, per fortuna, ben presto”avrebbe smarrita“. Tornando a Dante e al suo legame col cibo, cosa fa dire a Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso?
“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui”.
Un chiaro riferimento al suo esilio e, probabilmente, la scelta di questo alimento era legata al fatto che, essendo Firenze la patria del “pane sciocco”, il dover provare il sale di quello altrui rimandava al fatto che avrebbe dovuto abbandonare la sua amata città. Molti studi hanno fatto emergere, come abbiamo accennato, che nella realtà il poeta non fosse un grande mangione tanto da punire duramente il peccato di gola: Ciacco, nel VI canto dell’Inferno, si rivolta nel fango “per la dannosa colpa de la gola“e papa Martino IV, nel XXIV canto del Purgatorio, nella sesta cornice, tra le anime dei golosi, “purga per digiuno l’anguille di Bolsena e la Vernaccia“.
Ma cosa mangiava Dante?
Nel 1300 la cucina fece un grandissimo balzo in avanti con la pubblicazione dei primissimi ricettari come il “Liber de coquina“, un trattato anonimo redatto tra il 1285 e il 1309, e ciò spiegherebbe la presenza de divino o infernale cibo, a seconda dei punti di vista, nella maestosa opera del poeta. In quel periodo comparvero a Firenze ricette come quella della ribollita o della fettunta e il castagnaccio, piatti apprezzatissimi da tutti fuorché dal nostro poeta, capirete presto perché diciamo ciò. La domanda che sorge spontanea è: ” Non è che fu l’amore totalizzante per Beatrice a togliergli quello per il cibo?” La sofferenza, infatti, a qualche fortunato chiude lo stomaco e ad altri, invece, apre il pititto.
Una cosa certa è che, oggi, in occasione del Dantedì, visto i pochissimo ingredienti, se lo vorrete potrete sedervi al desco col Sommo vate e mangiare la sua pietanza preferita che conosciamo attraverso una nota storiella diventata leggenda.
Si racconta che in una sera d’estate, a Dante, seduto in piazza Duomo al n. 54 su di un sasso alla base di un pilastro, su cui, oggi, sorge una lapide che indica il luogo dov’era il “Sasso di Dante”, uno sconosciuto, passandogli accanto, gli rivolse la domanda: “Qual’è il boccone più squisito?” e lui rispose: “Un uovo”. L’anno seguente, stessa ora, stesso posto, ricomparve e questa volta gli domandò: “Con che?” e senza esitare l’illustre fiorentin: “Col sale”. Cari Watson, rullino i tamburi, squillino le trombe, ecco a voi la ricetta dell’Uovo di Dante.
Ingredienti:
- carciofi
- uova
- olio
- succo di limone
- sale
- pepe
Preparazione:
1. Mondate dei carciofi, eliminando le foglie dure, e teneteli a bagno in acqua fredda acidulata.
2. Rassodate delle uova, immergendole una alla volta in acqua bollente per 10 minuti.
3. Sgocciolatele, raffreddatele e sgusciatele e dividetele in quartini.
4. Lessate in acqua bollente leggermente salata i carciofi, sgocciolateli, asciugateli e divideteli a spicchi per presentarli al centro di un’antipastiera conditi con una salsetta composta d’olio, succo di limone, sale, pepe.
5. Rifinire la portata con i quartini d’uova sode adagiati a cerchio intorno ai carciofi.
Chiudiamo con una domanda, ovviamente ironica, che si faceva un buongustaio, Giuseppe Prezzolini, negli anni ’50: “Che cos’è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti?”.