“Come ci si può fidare del genere umano, quando hanno dovuto inventare le toilette autoigienizzanti perché non tiriamo neanche la catena?”, dice Boris Yelnikoff, il burbero protagonista del film “Basta che funzioni”, scritto e diretto da Woody Allen.
Pensavamo che tutto questo potesse cambiare in un mondo che sembra l’attuazione alla lettera del profetico film del 2011 “Contagion” di Steven Soderbergh? La follia è sotto ai nostri occhi, è la realtà in cui noi stessi viviamo, soltanto più esasperata da un evento straordinario. In uno dei dialoghi degli ‘Intercoenales’ di Leon Battista Alberti, uno dei protagonisti è Libripeta, parodia del letterato che vive di cultura e non fa altro che ostentarla: quanti Libripeta rispondono alla pandemia di questi tempi, autocelebrandosi come detentori della verità e dimenticando la ferita e le incongruenze dell’essere nel mondo?
Libripeta racconta all’amico Lepido (tipo umano dell’irridente e irriverente) di un suo sogno. Parla di una terra dove vanno a finire tutte le cose perdute dall’umanità, anticipando il viaggio sulla luna di Astolfo nell’ “Orlando furioso”, episodio che all’opera dell’Alberti si ispira. Nel sogno tutto si presenta come trasformato, azzerato e ridicolizzato: gli imperi del passato vengono presentati come“tumide vesciche che gridano”, i doni fatti per ottenere qualcosa, come “ami d’oro e d’argento”, i mali d’amore, alla stregua“di nodi d’oro e di gemmati ceppi”.E i nomi dei potenti del passato, sintetizzati all’estremo in un’incisione su lapide. Solo la pazzia è rimasta nel mondo. Essa solo lo domina e ne è sovrana.
Lo vedo nelle mascherine vendute a caro prezzo, nella gente che rientra da fuori e non si autodenuncia, nelle grigliate sui tetti allo Sperone, nelle distanze di sicurezza violate al supermercato, negli assalti per la spesa, nelle teorie complottistedi chi si improvvisa, pur non essendolo, economista o virologo.
E, perdonatemi, ma lo vedo anche negli striscioni con l’arcobaleno e l’hashtag “Andrà tutto bene”. La nuova icona con la sua iconografia alla “My Little Pony”, allineata a una visione ‘zuccherata’ del mondo, è sicuramente degna dell’immaginario della nostra epoca, dove ormai scriviamo per ideogrammi (e sono le emoji di WhtasApp) e le nuove generazioni, non a caso possiedono un lessico ridotto a un massimo di poche centinaia di parole. Mi chiedo: andrà tutto bene per chi? Di certo non per chi ci ha rimesso la pelle.
“Andrà tutto come se fosse Antani”, ci dice un’altra icona che dilaga sul web e ripropone lo stesso arcobaleno della più famosa immagine dei nostri giorni, ispirandosi alla battuta del conte Mascetti di “Amici miei” – a cui questa rubrica si ispira – come a tradurre il fatalismo del detto siciliano “Comu veni si cunta”, come capita si racconterà, succeda quel che succeda, affidandosi semplicemente al caso come ultima spiaggia. Di certo a Bergamo, qualche settimana fa, la gente non cantava affacciata ai balconi mentre altra gente moriva (che poi “Azzurro” e “Nel blu dipinto di blu”, per quanto mi riguarda sono due bellissime canzoni che però hanno sempre suscitato in me una certa malinconia, anche se non ho paura di questo stato emotivo, anzi…).
I miei moti di disfattismo e cinismo però si stemperano quando cerco di comprendere quello che c’è oltre me, provando a immedesimarmi nell’altro da me, distante per esperienze di vita, cultura o perché semplicemente fa un lavoro diverso dal mio.
“Un lavoro io l’ho, nanananana, una casa io l’ho, nanananana”, cantava Battisti e potrei dirlo anch’io.Mi posso permettere di usare anche quel grimaldello che fa entrare nel sogno come il borioso Libripeta dell’Alberti e di ritornare nella realtà che oso definire folle.Chi non può questo però reclama:«Rivoglio la mia vita, rivoglio il mio lavoro, senza il lavoro non mangio!».
Che il nostro Paese sia alla canna del gas è evidente. Ho poche certezze, tra cui quella che qualcuno si farà interprete e narratore di questa esperienza anche se dubito che usciranno fuori delle opere dagli esiti talentuosi di “Furore” di Steinbeck (romanzo che raccontò gli anni della Grande Depressione). Di sicuro si narrerà delle ‘magnifiche sorti e progressive’, della bontà dell’uomo in astratto, della vita più forte della morte.
Mi abbarbico nel mio ‘pessimismo costruttivo’ che disillude presto ma che mantiene il contatto con la realtà, permettendo di farmi attraversare da scampoli di umanità reale e di sacrifici silenziosi della gente che non si mostra, che, sommersa, tenta di lottare o soccombe. Allora sì, “Andrà tutto come se fosse Antani”, che il caso ci porti fortuna, anche se dovremo navigare a vista. Il mondo deve andare avanti, ci dicono.
A proposito di questo, nell’articolo “Riflessioni sulla morte di Mishima”, scritto da Henry Miller, si trova una bella considerazione: il mondo ci impone di andare avanti, anche quando avanti significa indietro. Alla luce di quanto stiamo vivendo, potremmo riattualizzare questi concetti e dunque resistere, adeguarci, cambiare, prepararci a nuovi scenari. Rivolgendosi allo scrittore giapponese che era da poco morto suicida, Miller conclude così: “È la vita, dicono, è la vita a esigerlo. Ma sia la vita o la morte ciò che ci spinge innanzi, il mondo opera comunque per la propria sopravvivenza. Forse non il mondo mio o il mondo tuo ma ‘il mondo’. A volte mi domando cosa significhi questa strana parola: mondo”.