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Musumeci e l’assessorato ai Beni Culturali, pioggia di polemiche inutili

giovedì 14 Maggio 2020

La nomina di un leghista all’assessorato ai Beni Culturali della Regione siciliana ha provocato un mare di proteste non solo da parte delle opposizioni, com’era prevedibile, ma anche in larghi settori dell’opinione pubblica, perfino in ambienti vicini al centro-destra. In molti hanno arricciato il naso, altri tacciano in un silenzio polemico.

Questa dura reazione è dettata, tra le tante motivazioni, innanzitutto dai nomi dei leghisti designati che per ora girano e dal naturale paragone con chi in precedenza aveva guidato il settore dei Beni culturali che per competenza, passione, rigore e impegno aveva dato lustro alla Sicilia in Italia e nel mondo: il compianto prof Sebastiano Tusa tragicamente scomparso in un incidente aereo.

Se infatti, non è facile trovare una sostituzione a livello di Tusa, proprio per questo tutti si aspettavano e si aspettano uno sforzo per cercare una soluzione con caratteristiche analoghe per prestigio e competenza.

La Lega, infatti, ha tutti i titoli per richiedere una presenza nel governo della Regione, essendo una forza che ha una rappresentanza parlamentare, parte integrante della maggioranza, riscuote un consenso nell’isola e a cui il presidente Musumeci guarda con simpatia avendo, perfino, partecipato al famoso raduno di Pontida, scegliendo anche di bere, anche se l’inquinamento è lo stesso, l’acqua del Po al fiume Oreto.

Il problema, infatti, riguarda in primo luogo il presidente Musumeci. E’ giusto, infatti, ricordare che Tusa era stato scelto come assessore proprio da Musumeci, in sostituzione di Vittorio Sgarbi, altra nomina fuori dagli schemi tradizionali. In coerenza con queste scelte, il presidente ha ragioni e autorità per chiedere all’alleato, di scegliere come assessore una personalità del mondo della cultura, della società civile, dell’università, da non far rimpiangere molto il prof Tusa.

Sul nome da designare dovrebbe riflettere anche la Lega tenendo conto che va ad occupare una poltrona su cui si era seduto uno studioso del valore di Tusa, per cui in questo caso andrebbe tralasciato il senso di appartenenza e la fedeltà politica.

Scelte di basso profilo come quelle che si paventano non possono non suscitare, come peraltro sta avvenendo, reazioni e proteste.

Se si dovessero confermare queste scelte, nonostante il presidente sia noto per intelligenza, prudenza e accortezza, saremmo di fronte a una preoccupazione maggiore su cui riflettere il ritorno in Sicilia di una pratica che in verità sembrava sopita, quella dell’Ascarismo.

Che cosa è questa parola che da tempo non sentiamo più pronunciare?

Lo Zingarelli alla voce Ascarisno cosi lo spiega: “piccolo raggruppamento politico che serve da ausiliario ai grandi partiti”.

In verità il termine fu molto utilizzato nel secolo scorso come accusa lanciata dai partiti di opposizione, in particolare modo da quelli di sinistra, ma anche della destra, nei confronti dei governanti siciliani della Democrazia Cristiana, colpevoli di svendere l’Autonomia Siciliana a Roma.

In particolare, negli anni del centrismo, essi erano accusati di essere al servizio del potere romano, (oggi diremmo lombardo), che in cambio del loro sostegno politico ed elettorale strappavano, insieme a qualche privilegio politico personale (ad esempio l’elezione al parlamento nazionale) porzioni di spesa pubblica che serviva ad alimentare canali clientelari ma anche a garantire la pace sociale nell’isola.

Una piaga che dovrebbe essere interesse di tutti evitare che si riapra.

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